In realtà si chiama Chiesa di Sant’Antonio, un classico della zona. Ma nel titolo era interessante rendere omaggio al tripudio di marmo che caratterizza questa piccola chiesa spoglia e abbandonata. L’abbiamo trovata per caso, lungo una strada di grande comunicazione: recava i classici segni dell’abbandono, abbiamo parcheggiato poco più avanti e con grande sorpresa (capita, di rado, ma capita) la porta era semplicemente appoggiata, come se la preghiera e il rispetto fossero consentiti. Quello che colpisce di questa chiesa sono le targhe che segnano la storia di una singola famiglia, come se il luogo di culto fosse una sorta di proprietà privata: il nipote che rende omaggio al nonno che l’ha adottato, il nonno che rende omaggio alla nuora, Rachele, morta a soli 38 anni: quasi 200 anni di ringraziamenti e devozione. L’ultima targa segna come data 1938, sono trascorsi quasi 100 anni.
È noto che alcune delle migliori scoperte del mondo urbex siano frutto della strada: perché non esiste esploratore che durante gli spostamenti in macchina non osservi attentamente e scrupolosamente il paesaggio alla ricerca di segni di abbandono. E quando lungo il tragitto che da Villa Targaryen ci portava a casa abbiamo notato la Chiesa di Pieve Gurata il primo istinto è stato quello di fermarsi a controllare. E mai decisione fu più saggia.
La zona era praticamente deserta, abbiamo parcheggiato la macchina e siamo entrati nella muraglia che circonda il piccolo prato antistante la chiesa. Di fronte all’ingresso abbiamo subito notato una piccola, ma deliziosa, edicola votiva. Per accedere all’interno si devono salire 4 scalini, coperti di erba e difficili persino da vedere, e quindi spostare leggermente il malfermo portone d’ingresso: la chiesa è completamente spoglia, l’altare è sparito, non ci sono le acquasantiere, l’intonaco si sta scrostando e il guano dei piccioni è ovunque. Ma nonostante tutto questa chiesa è ancora interessante, bella, silenziosa e incarna perfettamente quello che significa magia dell’abbandono.