Avevo in archivio un altro pokestop e non lo sapevo. Distratto. Questa è quella che Pokemon Go definisce erroneamente Cappella Mondovicino. Per i puristi del monregalese è una specie di attentato al cuore della storia e alla tradizione. Certo, lo so, non è il massimo definire questa piccola e antica cappella con il nome del modernissimo outlet, ma è il prezzo che dobbiamo pagare al progresso digitale. E’ giusto? Probabilmente no. Ma non credo si possa fermare questo processo di modernizzazione che stiamo vivendo tutti i giorni sulla nostra pelle; è necessario (ma non obbligatorio) seguire la corrente ed imparare a nuotare il più velocemente possibile. Io ci provo (e faccio fatica).
In quest’ultimo periodo il mondo sembra impazzire per Pokemon Go. Su facebook e sui giornali non si parla d’altro. Sono tutti a caccia di Pikachu e dei suoi amici: e l’ironia del popolo dei social network si è scatenata. Io non sono fra coloro che criticano, anzi, trovo l’utilizzo della realtà aumentata decisamente geniale e credo che nel futuro prossimo saranno molte le applicazioni che utilizzeranno questo tipo di tecnologia. In realtà è una tesi che sostengo da tempo. Ma quello che trovo interessante e stimolante di Pokemon Go è l’utilizzo dei Pokestop in modo istruttivo e decisamente reale. I Pokestop sono molto importanti: per chi non conosce la meccanica del gioco posso dire che sono dei luoghi in cui trovare risorse per continuare a giocare; generalmente sono situati in luoghi di particolare interesse storico, geografico, toponomastico. A Mondovì, a pochi passi da dove lavoro, ho scoperto l’esistenza di un pilone religioso proprio grazie al gioco: non l’avevo mai notato prima, nascosto dalla natura selvaggia ed in totale stato di abbandono. E questo pomeriggio ho deciso di fermarmi e fare qualche foto (a mezzogiorno, chiedo venia). E’ un gioco, divertente per alcuni, stupido per altri: ma può anche insegnare qualcosa. Ed è una questione da non sottovalutare.
Il sottotitolo potrebbe essere un ironico tentativi di panning. Nel week-end appena trascorso si é disputata a Mondovì la quarta tappa del campionato italiano di trike, organizzato dal Team Crazy Riders Drift Trike. Adesso spiegare cos’é un trike mi viene davvero difficile ma credo che dalle foto si possa capire: sono mezzi a tre ruote (tricicli) senza propulsione, ma che in discesa sfrecciano a velocità molto elevate. Si, hanno i freni (ma si usano poco). Mi sono piazzato nelle curve che da Mondoví Piazza portano a Carassone: al primo giro ho fotografato in modo classico cercando di congelare il movimento. Nulla di interessante, o quasi. Ho quindi deciso di provare con il panning, che probabilmente é l’unica tecnica da utilizzare per riuscire a immortalare degnamente i trike in velocità. Purtroppo il tracciato non mi ha aiutato molto (non sono riuscito a trovare una posizione decente) ed il livello delle foto è decisamente basso. Ecco le uniche 5 immagini che ho deciso di salvare. Mi toccherà riprovarci.
All’epoca era stata il teatro di un cronoduello. Oggi l’Antica Pieve di Breolungi è il soggetto di un concorso fotografico organizzato da MondovìPhoto e dall’associazione Turistica Pro Loco delle Frazioni di Mondovì. E quindi dovevo partecipare. All’epoca avevo definito la Pieve come orribile, dopo averci dedicato qualche minuto in più il mio giudizio è decisamente cambiato: non è poi così male come mi era sembrata nei 15 minuti del cronoduello (nel 2012). Per scattare le foto del concorso sono andato alla Pieve tre volte: all’alba, al tramonto e nel primo pomeriggio (ma solo per scattare gli interni). Difficile trovare la luce giusta, le nuvole giuste, il momento opportuno. Per le navate ho scelto di utilizzare la tecnica dell’accadierre: credo che per fotografare gli interni di una chiesa sia quasi sempre la scelta migliore. Anche nelle foto #02 e #05 in esterno mi sono avvalso della possibile di esaltare la gamma dinamica, mentre nelle altre ho semplicemente contrastato ed esaltato dettagli e colori. Probabilmente sono caduto nella banalità della foto cartolina (evitarlo non era facile) ma è stata la strada che avevo deciso di percorrere dall’inizio. E per questa volta va bene così.
L’antica Pieve di Santa Maria in Bredolo, frazione Breolungi, Mondovì, fu il cuore religioso dell’antico Comitato di Bredolo. La sua origine può essere fissata alla fine dell’VIII secolo. Recenti scavi archeologi hanno portato alla luce numeroso materiale protostorico frammisto a ceramica ad impasto grezzo e invetriata documentando un insediamento umano risalente all’età del Bronzo finale. Le genti che si erano insediate in questo territorio appartenevano alla tribù dei Liguri Bagienni. A loro subentrarono i Romani, come risulta dalle lapidi raccolte nel lapidario, ed in seguito i Barbari. Nell’Alto Medioevo il sito divenne un luogo importante in quanto centro principale del “Comitatus Bredulensis”, di origine carolingia, che si estendeva dalla Valle Stura alla Valle Tanaro.
Noi siamo ‘The Sreet‘. E siamo un gruppo di Urbex Photographer davvero determinati. Determinati e cattivi. Tanto cattivi. E noi non abbiamo amici ma solo nemici. Acerrimi nemici. Siamo cattivi (l’ho già detto?). Tanto cattivi. Ma belli. Terribilmente belli. Dannatamente belli. E ci intrufoliamo nei luoghi dell’abbandono per documentare lo schifo, il degrado e la rovina. Il degrado di questa società moderna che noi osteggiamo con rabbia e determinazione. Perché noi siamo cattivi e non abbiamo paura di niente e di nessuno.
Non portare via niente, non rompere niente, non disturbare nessuno. Cattura immagini, lascia solo impronte nella polvere.