La costruzione del complesso industriale della Raffineria Sairo (Società Anonima Italiana Raffinazione Olii) in zona San Lazzaro risale al 1913 e porta la firma della società Porcheddu di Torino: la più antica raffineria d’olio di oliva in Italia (e forse del mondo) rimane in attività per quasi 90 anni. Nel 1999, in seguito a un grave dissesto finanziario, viene chiusa.
Quello che mi pare a dir poco bizzarro, anche se mi guardo bene dal giudicare un giudice (mi si passi il bisticcio) è che ai fratelli Azria (Jacques e André) i veri proprietari che alla Sairo facevano il bello e il cattivo tempo e che hanno “distratto” con Leo Dreifuss ben 50 miliardi di vecchie lire, hanno a suo tempo patteggiato le condanne e si sono beccati un anno e otto mesi Jacques Azria, due mesi in meno suo fratello André e Leo Dreifuss. (Angelo Amoretti –
ImperiaParla)
L’ex SAIRO si trova ad Imperia, sul mare, in una zona ad alta concentrazione turistica. Da quasi 20 anni è in stato di completo abbandono e, nonostante tantissime parole, sembra che il giorno della sua rinascita sia davvero lontano. Ed è molto strano data l’appetibilità della zona, il valore di un complesso dedicato al turismo di queste dimensioni e in questa zona sarebbe difficilmente calcolabile. Eppure non si vedono novità all’orizzonte e quando si vedono sono sempre negative. L’entrata nell’ex complesso industriale è decisamente agevole, il cancello è aperto (sono andato quasi per caso l’estate scorsa) e non c’è nessun ostacolo (tranne un po’ di erba alta). Dentro è in stato di grande abbandono: i muri crollano a pezzi, le porte sono divelte e le pareti sono ricoperte da graffiti e scritte. Probabilmente in tempi recenti è stato ricovero di qualche barbone oppure di extracomunitari in cerca di un tetto per la notte: si nota dai tanti oggetti di uso comune sparsi per la struttura. La visita è pericolosa e presenta diverse insidie: tanti vetri rotti, ma sopratutto una serie di aperture nel pavimento nel quale è facile, in caso di disattenzione, cadere. Attenzione.
Le fotografie, viste con l’occhio di uno che, da dilettante, ne ha scattate tante, appaiono molto belle, ma vedere quelle stanze che da dipendente ho girato in lungo e in largo per quindici anni fino al 2000, mi mettono una tristezza infinita. Ho smesso da tempo di pensare a quello che ne sarà della SAIRO: me ne sono occupato per un po’ con la speranza che almeno ne potesse venir fuori quel famoso incubatore di imprese di cui parlavano qualche anno dopo il fallimento, ma passandoci davanti quasi ogni giorno, ho notato, come tutti, il declino inesorabile del fabbricato. Oggi potrei identificarlo con il declino della città che, in una maniera o nell’altra, è stata deindustrializzata quasi del tutto. Nessuno mi toglie dalla testa che sia stato un disegno, fatto da chi sa quale “architetto”, per rendere così la nostra amata città. La responsabilità è un po’ di tutti e ognuno dovrebbe assumersene una parte. Dalle sue ceneri e dal suo cemento, spero che possa presto rinascere qualcosa di bello che possa dare una nuova vita a Imperia. Non so se ci sarò ancora, ma mi auguro che possano vederlo quelli della generazione di mio figlio. (Angelo Amoretti)
L’ex Complesso Ospedaliero di Costarainera, formato dall’Istituto Elioterapico “G. Barellai” e dall’ex Ospedale Sanatoriale “Filippo Giacomo Novaro”, venne inaugurato nel 1934 come luogo di cura della tubercolosi e di patologie respiratorie. Questo complesso, localizzato quasi interamente nel Comune di Costarainera, era circondato ed impreziosito da un parco–giardino di oltre 25.000 mq e da un’azienda agricola strutturata per soddisfare il fabbisogno dei degenti. Da qualche anno giace in stato di completo abbandono. Ci si arriva dopo aver attraverso il meraviglioso parco e la scalinata che conduce al piazzale antistante al sanatorio è spettacolare.
Purtroppo di quello che era un complesso moderno e funzionale non rimane quasi più nulla. L’interno è quello classico di un ospedale: corridoi lunghissimi, stanze, vetrate, vetrate rotte, scalinate e ascensore centrale. Si trova ancora qualche residuo di quella che all’epoca era l’attività della struttura, ma la stragrande maggioranza delle stanze sono vuote. Quello che colpisce maggiormente sono le strane tapparelle nella parte dell’ospedale rivolto verso sud; probabilmente venivano utilizzate per proteggere dalla potenza dei raggi solari le camera maggiormente esposte. Oggi sono pericolanti e un po’ spettrali.
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Galeazza è qualcosa che per il mondo non significa nulla. Per gli imperiesi, ma forse dovrei dire onegliesi, è la conclusione di una storia. Dopo la Galeazza c’è il vuoto, è lo scoglio posto alla fine del mondo conosciuto. Perché qui finisce Imperia, è una linea di demarcazione fondamentale. La Galeazza è una spiaggia: difficile, dura, impegnativa, di sassi e scogli, ma romantica e personale. Perché solo i ciantafurche (i cacelotti sicuramente no, ma loro cosa possono saperne?) riescono ad amare questo piccolo tratto di costa e il suo simbolo: la Galeazza, l’enorme scoglio dal quale è obbligatorio tuffarsi per essere veri, vivi e uomini. Io adoro questo piccolo lembo di spiaggia cattiva, significa tantissimo per me: è dove andavo da bambino, è dove ho imparato a nuotare; è il tuffo rinfrescante dopo la corsa serale sull’incompiuta. Ma la meraviglia della Galeazza è il rumore delle onde che si infrangono sulle pietre, nel silenzio dell’alba. E’ un suono che può sembrare ostico, ma che in realtà, per chi sa ascoltare, è dolcissimo. E carico di emozioni, di vita.
[…] Anche la Galeazza è ciottoli, scogli, tranquillità, ma soprattutto ha un panorama unico visto dal mare. La spiaggia è dominata da una collina di macchia mediterranea e pini di Aleppo, punteggiata da qualche villa opulenta che non disturba, ma lascia immaginare un passato non lontano in cui una parte era coltivata a vigneto e le foche monache saltellavano goffamente sulla riva per divorare l’uva matura. In mare si alza la Galeazza, cinque metri di scoglio che pare una nave antica, da sempre tappa del rituale di formazione dei ragazzi locali e no: chi si tuffa dalla cima diventa automaticamente adulto.
Fate mente locale, respirate e ripetete con me. Non è merito dell’obbiettivo, non è merito della modella: la qualità di una foto è esclusivamente merito del fotografo. E’ una regola fondamentale della buona fotografia.