
Domenica pomeriggio mi sono inoltrato, nonostante i divieti, sulla nuova (anzi, nuovissima) variante Beinette. La strada è ancora in fase di completamento ma credo che verrà aperta al traffico in brevissimo tempo; in queste ore si stanno ultimando i lavori di rifinitura. E’ un’opera mastodontica che permette di arrivare a Cuneo (da Mondovì) senza passare dal centro di Beinette; per riuscire in questo sono stati costruiti un paio di ponti, tre rotonde e un tunnel, una lotta continua con le rotaie che vengono evitate passandoci prima sopra e poi sotto. Per risparmiare quanto? Forse un paio di minuti, forse nemmeno. Si parla di questa variante da tanto tempo e le polemiche non sono mai mancate, e mai mancheranno. In un primo tempo l’acqua del sottosuolo aveva complicato i lavori ma adesso credo che sia tutto pronto. La spesa? Diversi milioni di euro, più probabilmente decine. Ne sarà valsa la pena? Non saprei, solo il tempo potrà dare una risposta a questa domanda. Io comunque sono ottimista. Per Beinette (la mia città) è sicuramente un grande passo in avanti: meno traffico, niente camion, inquinamento (anche acustico) ridotto. Cosa volere di più? :)




Perché è qui che ci incontriamo, senza saperlo; perché è qui che ci troveremo, senza esserci dati appuntamento, senza aggiungere altro se non un sorriso affatto stupito. La benedizione di questo luogo ci accompagna e ci riscalda, e noi non sentiremo la neve. Qui la notte trattiene il respiro. Il bianco, per noi, sarà solo la luce che ci darà conforto quando, stanchi per aver non vissuto, ci metteremo a sedere qui, schiena contro schiena, ad aspettare il moto dell’alba. Sai quell’istante in cui il sole sta per spuntare, un istante prima? Si dice che, ascoltando attentamente, si riesca a sentire l’aria muoversi. È l’istante esatto in cui il buio spezza l’apnea, colto di sorpresa. Perciò ti prego, resta qui, ancora un poco, immobile, riscaldiamoci, aspettiamo il sospiro del buio. Crediamo che qualcosa sia ancora possibile.
Foto di/Photo by Samuele Silva – Parole di/Words by Cristina Mosca.

Chiappera è un piccolo borgo nel comune di Acceglio, è l’ultimo avamposto abitato prima del confine francese. Ma la strada finisce qui, oltre solo montagne altissime. E’ un luogo meraviglioso. E quando dico meraviglioso non esprimo niente di quanto vorrei. Il paesaggio è dominato dalla rocca Provenzale, un incredibile sperone quarzitico che veglia sulle case in pietra e sul silenzio della neve. Tutta intorno. Sembra una fiaba, un’atmosfera magica. Ci sono capitato quasi per caso durante un’escursione con le ciaspole alla ricerca della luna piena e, come avrete intuito, sono rimasto folgorato. Il gruppo si è fermato per discutere della luna e delle costellazioni e io mi sono defilato: ho appoggiato la macchina.foto sullo zaino, preso la mira e impostato l’autoscatto. E mentre intorno a me le compatte violentavano l’atmosfera con il flash, io ho aspettato trenta secondi. E sono riuscito a cogliere solo una piccola piccolissima parte della magia.

Con questa foto (e altre) ho partecipato alla Cuneo Photo Marathon: il tema era ‘Oggetti non identificati‘. Nonostante le mille possibili visioni la mia mente non riusciva a pensare ad altro che ad un UFO. Stavo osservando il cielo alla ricerca di una nave aliena quando ho notato questo palo della luce nel parcheggio (deserto) del centro commerciale Auchan; erano passate da poco le sette e le luci del lampione sembravano proprio un astronave in fase di atterraggio. Ho eliminato il palo con il timbro clone, ho drammatizzato il cielo con un eccesso di contrasto… ed ecco arrivare gli extraterrestri sul pianeta Terra!

A Cuneo tutti lo chiamano Ponte Nuovo ma ha compiuto da poco 75 anni. Viene anche tristemente definito Ponte dei Suicidi, il motivo è facilmente intuibile; in realtà pochi sanno che il vero nome è Viadotto Soleri.
Marcello Soleri (Cuneo, 28 aprile 1882 – Torino, 23 luglio 1945) è stato un politico e ufficiale degli Alpini italiano. Insieme con Giovanni Giolitti e Luigi Einaudi, tutti di origine della Valle Maira, è il terzo grande liberale italiano del Novecento. Nel 1912, appena trentenne, diventa il più giovane sindaco di Cuneo a capo del partito liberaldemocratico. Sostiene la costruzione del grande viadotto all’ingresso della città che oggi porta il suo nome (Viadotto Soleri) e nel 1913 alla presenza del Re pone la prima pietra della nuova stazione di Cuneo altipiano. Nello stesso anno è eletto deputato.
E’ una costruzione probabilmente brutta, ma in possesso di qualcosa di affascinante, qualcosa che attira la mia attenzione fotografica. Nei giorni scorsi ho cercato un posto da dove poterlo fotografare e ho deciso di fermarmi sul ponte antistante che collega Cuneo a Madonna dell’Olmo. Ho voluto scattare con tanto spazio in alto, non troppo corretto dal punto di vista fotografico ma comunque piacevole e particolare; ho sfruttato una giornata uggiosa, triste. E’ una foto poco equilibrata, con i bianchi troppo sparati nella zona del cielo e con una parte bassa poco definita. Non so perché ma al sottoscritto piace parecchio. :)

Nonno Migio aveva gli occhi azzurri come il cielo e i capelli candidi, tagliati a spazzola. Io e mio fratello, piccolissimi; uscendo da Casa con lui per mano facevamo lunghe passeggiate giù sino al torrente Brobbio, e Nonno ci diceva il nome di ogni foglia, frutto, erba, insetto che incontravamo. E poi camminavamo ancora sino alla Munia, la più antica cascina del paese, e Nonno raccontava che si chiamava così, Munia (Monaca), perché tantissimi anni prima era un convento. A ogni passo, chi ci incontrava diceva – con quella pronuncia chiusa e dura del dialetto, “Cerea, General” , e “ceréa” in margaritese vuol dire “buona sera”, ma mio fratello le prime volte domandava: “Nonno, ma perché ti dicono culéa?”. Nonna Teresita invece aveva i capelli lunghissimi, ne faceva due trecce che arrotolava attorno alla testa come una corona. E cucinava coi fiori; insalate di pomodori e primule, risotto alle violette, frittata di menta e di ortica… Mai capìto come facesse a raccogliere le ortiche a mani nude, senza mai farsi male. Ricordo le merende fatte con le micherisse appena sfornate e bollenti tagliate a metà e condite con una nocciola di burro che si scioglieva al calore della mollica. E l’acqua era più buona se bevuta alla fonte…non ricordo il nome… Ci si arrivava passando sotto la Torre e buttandosi giù da un sentierino pieno di more. E poi i “sucàr” (prununciati proprio così) di liquerizia comprati dal Tabaccaio, che allora non sapeva ancora che avrebbe avuto un giorno un nipotino speciale; le “marronite“, parallelepipedini di marmellata di castagne presi dalla Campana, che aveva il negozio di alimentari proprio sotto casa nostra… Perché da piccoli potevamo mangiare come buoi, senza ingrassare mai? E quei lunghi pomeriggi di settembre – un mese intero di campagna dopo due mesi di mare, come eravamo fortunati noi bimbi d’allora, eh? – passati a schizzare in bicicletta da via Bertone sino al tennis e ritorno, avanti e indrè avanti e indrè, ma che fatica quella salita al ritorno sino al Castello, schivando mandrie di mucche di razza margara, “bianche come perle“… Oppure avanti e indrè dalla parte opposta, sfrecciando davanti la chiesa e al campanile più alto della zona, arrivando davanti casa Sibilla e poi voltando a sinistra, circondati di campi di meliga e mais, passando davanti al piccolo cimitero e arrivando sino a Riforano… Un’avventura. Eravamo un gruppo di ragazzini inseparabili e più o meno coetanei, letteralmente cresciuti insieme dalla nascita ai 18 anni; io, mio fratello Guido, i tre cugini Mimi, Chicco e Ginetto; Massimo e Nunzio; le ragazzine si chiamavano Mirella, Antonella, Ornella. Tutte “ella”.



Davanti alla casa dei cugini, di fianco alla mia, c’era una panca di legno: serate interminabili trascorse lì, il primo che arrivava si sedeva, gli altri in piedi o in groppa alla bici, a parlare parlare parlare, con immensi ed improvvisi scoppi di stupidèra acuta e conseguente irrefrenabile ridarella. I nostri Grandi, Anna e Pippo-Generale Jr, Teresita, Vittorio e Laura, i genitori di Massimo e Nunzio, sempre insieme anche loro, anche loro a parlare parlare parlare seduti in giardino dentro casa, e la stupidéra e la ridarella loro si mescolava alla nostra. Poi siamo diventati grandi noi, e ci siamo persi come accade alle covate nei nidi. E quasi tutti quei nostri Grandi ora sono lì; uno, il Generale jr, è ancora nella Casa da dove uscivamo con Nonno. Gli altri dormono giù, insieme a Nonno e Nonna, verso Riforano, circondati da campi di meliga e mais.
Foto di/Photo by Samuele Silva – Parole di/Words by Mitì Vigliero.