Quest’anno mi sono messo in testa di realizzare un reportage totale della Fiera del Bue Grasso di Carrù, arrivata ormai alla 112ª edizione. E vero, c’era anche una Maratona Fotografica con un montepremi importante, ma ho preferito comunque concentrarmi sul discorso completo per poi eventualmente estrapolare le 4 foto (pochissime, ho scelto queste: 1–2–3–4) che potessero raccontare almeno parzialmente la manifestazione.
Ho preso accordi con due allevatori della zona e sono andato ad assistere alla preparazione degli animali alle 5 del mattino: al buio e al freddo; ma è stata un’esperienza straordinaria e voglio ringraziare Valter Dogliani e Giovanni Rocca che mi hanno permesso di raccontare una piccolo pezzo della loro vita. È stato emozionante e sono momenti che porterò sempre nel cuore: non capita tutti i giorni.
Poi sono andato in paese, ho osservato una parte della colazione a base di trippe e bollito, salutato l’amico Beppe Cravero del ristorante Vascello D’oro (ho notato, con orgoglio, che conserva una mia foto dello scorso anno all’entrata del ristorante), bevuto un paio di bicchieri di Barbera a stomaco vuoto e quindi sono andato di corsa ad assistere all’arrivo, alla preparazione e alla pesa dei buoi sotto l’ala del mercato di Carrù. Terminate le operazioni di preparazione, e mentre la giuria decideva i vincitori, ho camminato lungo le vie del paese alla ricerca dei famosi suonatori: e qui c’è un mondo di persone allegre che intrattiene gli astanti con canzoni popolari tipiche della zona; non sono un esperto, ma la celebre madonnina dai riccioli d’oro l’ho ascoltata almeno un paio di volte (e da allora non riesco a smettere di cantarla)(d’altronde deve far vincere il Toro). Quindi dopo la colazione (alle 10) sotto il tendone a base di bollito e bagnèt verd con gli amici di Igers Piemonte, sono tornato in centro proprio mentre iniziava a nevicare in modo insistente: questo ha rovinato la premiazione (e il mio rientro a casa), ma un paio di immagini credo sia necessario pubblicarle per completare il reportage che si chiude, ovviamente, con l’addio degli animali e il rientro a casa dei suonatori.
Sono 58 foto, tantine, rigorosamente in silver come richiede il reportage e praticamente senza post-produzione: ho deciso di scattare in JPG eliminando i colori per entrare al massimo nel mood del progetto. Ho utilizzato, lungo tutto l’arco della giornata, esclusivamente due obbiettivi fissi: 35mm e 85mm quasi sempre con diaframmi inferiori a f/2. C’è anche il vezzo del fish-eye, ma una sola immagine: ci stava direbbero i giovani. Le foto sono in rigoroso ordine cronologico e raccontano una giornata vissuta ad alta velocità, nel freddo e nella neve, in compagnia del mio -autoprodotto- vin brulè. L’idea era quella di portarVi con me alla Fiera del Bue Grasso: spero di esserci riuscito.
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Entrare nei Battuti Bianchi di Carrù è un’esperienza sempre interessante. Non è vero urbex in quanto la chiesa, dedicata a San Sebastiano, è in fase di recupero grazie all’associazione Amici di Carrù che sta cercando di portare avanti un progetto alternativo come sede espositiva. Certo che i segni tipici dell’abbandono ci sono tutti e l’atmosfera è proprio quella dell’esplorazione urbana: ma entrare dalla porta secondaria con la chiave toglie un po’ di fascino all’esperienza. Un’ultima informazione prima dei cenni storici: dal 17 al 25 settembre 2022, in questa meravigliosa e importante location, verrà esposta Herem. Vi aspettiamo amici carruccesi. :-)
La Chiesa della Confraternita dei Battuti Bianchi, dedicata a San Sebastiano, si affaccia sull’attuale piazza Dante all’imbocco con via Mazzini (antica via della Piazza). La fondazione della Confraternita, che si occupava di bambini poveri e orfani, assisteva malati e diseredati, è antecedente il 1528, quando documenti ne attestano l’esistenza: l’antica sede del sodalizio sorgeva a levante della parrocchiale e fu abbattuta dopo la costruzione dell’attuale edificio. Nella seconda metà del ‘700, dopo un progetto di B.A. Vittone, rifiutato perché troppo grandioso, fu chiesta a Filippo Nicolis di Robilant (1723-1783) la pianta dell’attuale edificio, ch’egli risolse con singolare ingegno e straordinario gusto scenografico, avvezzo com’era all’elaborazione di apparati per i teatri e le feste di Corte. Il cantiere di costruzione si protrasse dal 1765 al 1774 e si avvalse dell’opera dello stuccatore F. Barelli; nel 1776 il pittore Toscanelli ne decorava pareti e soffitti con una sensibilità ed un’eleganza verosimilmente suggerite ancora dal Robilant. Successivi interventi decorativi (fratelli Prinotti, primo ‘900) reinterpretarono e coprirono parte delle antiche pitture che, fortunatamente, riaffiorano per la caduta di frammenti di colore. Il coro, con stucchi di N.Soleri, fu aggiunto tra il 1846-47 su disegno dell’architetto monregalese G.B. Gorresio. L’oratorio di San Sebastiano raccoglieva le famiglie di più antica storia presenti in paese: non a caso anche i Conti Costa della Trinità, Signori di Carrù (una tra le famiglie più in vista presso la Corte Sabauda) era legatissima a questa chiesa e fu Vittorio della Trinità, Viceré di Sardegna e Priore della Confraternita, ad invitare a Carrù l’amico Robilant, pagato dai confratelli con “regali di trifole, salmate di vino bianco, robiole, pescarie e volatili”.
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