Ci sono delle situazioni in urbex nel quale mi capita di chiedermi come sia possibile. Perché in realtà non è possibile, non è credibile, è fantascienza pura anche solo pensare all’abbandono in certi palazzi. Quando mi sono ritrovato in queste stanze mi sono proprio chiesto come il mondo possa permettere che una simile meraviglia sia chiusa e in un tale stato di decadenza; non uso la parola abbandono di proposito perché la differenza fra tralasciata (un termine che mi piace utilizzare in certe situazioni) e abbandonata è minimo, labile, ma esiste ed è fondamentale.
Quando sono entrato nella sala da pranzo mi sono sentito un intruso. Mi sono trovato in un ambiente dal fascino medioevale, con il soffitto affrescato in modo clamoroso, un lampadario che sembrava uscito da una storia di Re Artù, un arredamento antico e bellissimo, il caminetto e le poltrone, una radio d’epoca, foto vecchie di almeno un di secolo; e io con abbigliamento tecnico e la mirrorless (manco la reflex) mi sono sentito un pesce fuor d’acqua. Forse avrei dovuto usare una fotocamera a telemetro, magari una Kodak Retina (che mi sta guardando dalla mensola sulla parete di fronte) e, anche meglio, un banco ottico in legno (non comodissimo in urbex) per sentirmi meno fuori luogo. Poi ho varcato la soglia e sono entrato nella stanza successiva: qui dipinti sul soffitto quattro soldati in armatura azzurra mi osservavano come sorpresi dall’arrivo di un intruso dal futuro. E io forse più sorpreso di loro in quel preciso momento ho realizzato che la Villa dei Cavalieri Azzurri sarebbe per sempre rimasta impressa e indelebile nella mia mente.
Per la rubrica Samuele prova cose -rubrica copiata sul momento- ieri pomeriggio sono andato al mercatino di Natale di Asti. Dicono sia il più bello del Piemonte e uno dei migliori d’Italia. Non sono rimasto deluso, il numero delle tipiche casette natalizie è importante (credo superiore a 100) e la quantità di roba inutile e pessimo street food è veramente altissima. Se aggiungiamo il giorno festivo e la giornata soleggiata potete immaginare la confusione e il delirio.
Fra le menzioni speciali devo segnalare le lunghissime code per mangiare qualsiasi cosa: 30 minuti per le frittelle di mele, 50 minuti per gli arrosticini, 5 minuti per il vin Brulè (6 alpini, uno che versa lentamente, uno che prende i soldi, 4 che guardano). Per fortuna avevo con me dei biscotti salati perché l’idea di stare in coda alle poste mi uccide, figuriamoci mezz’ora per un arancino, al freddo, e con intorno la gente. Ho trovato comunque tutto quello che ci si può aspettare da un mercatino di Natale: prodotti tipici, formaggi e salami venduti al prezzo del tartufo, l’immancabile focaccia ligure, artigianato, chincaglieria, la lavanda, il miele, il sale dell’himalaya in forma di lampada, cappelli di lana, guanti, sciarpe, addobbi natalizi. Insomma, una domenica alternativa per iniziare a respirare le vibes natalizie e scattare qualche foto un po’ diversa dal solito.
In realtà il tasso non è proprio agevolato, anzi, è complicato. Si tratta di un’abitazione sicuramente disabitata, ma di certo controllata; sono passato nella vicina fornace (brutta) quando ho notato la villa di fronte. Lo stato esterno (buco nella rete, porta aperta e giardino non curato) dava la classica impressione dell’abbandono: mi sono fatto prendere dalla curiosità e ho deciso di verificare. Dopo essermi avvicinato al cancello, il lucchetto non era recente, ho notato che proprio di fianco la rete di recinzione era completamente divelta. Sono passato oltre e mentre mi avvicinavo alla porta di ingresso è scattato l’allarme: fortissimo, insistente, rumoroso. Ho fatto due passi indietro, a quel punto non era più abbandono evidente, e sono tornato nel mondo libero.
(Foto pubblicate per gentile concessione del fotografo olandese Wim Van Blisterkof).
Villa Margherita è uno dei miei obbiettivi urbex da sempre, sempre sfiorata e mai realizzata, finalmente ieri sono riuscito a fotografare la celebre scala; perché mi è stato detto che quella era l’unica cosa interessante. In effetti c’è poco altro e l’unica fotografia che merita il viaggio è quella di questo bellissimo atrio. E non è una foto semplice: la luce che entra dalle vetrate è fortissima e il rischio di bruciare le alte luci è molto alto (non è un gioco di parole). Per riuscire (e manco bene) a trovare un’esposizione bilanciata ho dovuto chiudere di 7 stop e, nonostante un obbiettivo di ottima qualità, si nota una certa aberrazione luminosa nella parte alta delle vetrate: il fenomeno diventa più marcato con l’utilizzo del fish-eye e del supergrandangolo di Laowa che hanno lenti di livello inferiore (e sono soggetti a certe problematiche). La differenza di luminosità in urbex è sempre un problema, alcune volte è davvero complicato riuscire ad armonizzare la differenza fra zone di alta e zone di bassa. E poi c’è gente che fotografa senza treppiede…