POSTED ON 28 Ott 2023 IN
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Questa sera verrà inaugurata la mostra collettiva dei soci di MondovìPhoto; il tema scelto, a Maggio, in assemblea (con qualche sana e costruttiva discussione) è Genius Loci. È già vedo molti dei miei innumerevoli lettori (4) storcere il naso con espressione dubitativa.
Cosa significa
Genius Loci? Non è facile spiegare il significato di questa espressione latina, che arriva dal passato, in modo sintetico. Per semplificare posso dire, senza paura di smentita, che si tratta dello
spirito di un luogo. È una definizione
moderna e decisamente attuale. In poche parole avremmo dovuto, con 4 foto, riuscire a cogliere
la vera essenza di un luogo per noi significativo. Impresa niente facile, per me che sono l’apice della razionalità praticamente impossibile.
Valutando la mia scarsa propensione al metafisico (il Genius Loci nella religione romana è un’entità naturale e soprannaturale legata a un luogo) ho deciso di scegliere un linguaggio molto semplice, quasi formale, un luogo che amo sopra ogni cosa, che mi ha visto prima bambino e poi diventare adulto: la spiaggia della Galeazza. Non sono assolutamente certo di aver colto il Genius Loci della Galeazza, ma in queste immagini sento il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli e mi immagino seduto sulle pietre, con le gambe rinchiuse fra le braccia, ad ammirare il paesaggio e deprecare il mio passato. Insieme alle foto verrà esposto un testo che trovate qui. Vi aspetto numerosi, io non ci sarò. :-)
In genere, si può dire che i significati radunati dal luogo costituiscono il suo Genius Loci.
– Christian Norberg-Schulz
POSTED ON 13 Mag 2023 IN
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Il cielo è plumbeo, quasi come le mie lacrime. Ho passato gli ultimi anni sapendo che questo momento sarebbe arrivato prima dell’immaginabile, eppure permane una sensazione enorme di incertezza. Di solitudine, di malinconia. Di tempo che scorre inarrestabile.
Perché anche se adesso ho quasi 50 anni mi sento tanto più solo; e penso con una certa malinconia al passato, ai ricordi che rimarranno indelebili nella memoria. Arrivano come tanti flashback, piccoli pezzi di vita che risalgono lungo la spina dorsale e precipitano dal secolo scorso, veloci come potenti lampi di luce vera e intensa. Una voce, un gesto, un momento, una foto, una canzone ascoltata all’infinito in un clamoroso e assurdo soppalco di legno, io e te di fronte.
Non è il momento più brutto perché fa parte di un percorso e lo conosco quel percorso, perché mi rimangono i momenti, i baci sulla fronte di questi giorni, le mani che si stringono perché lo sai, certe piccole memorie che sono sempre presenti. Mi rimarranno tante cose di te, che sei parte di me, perché ci sono una serie di caratteri che porterò sempre come bagaglio genetico e di esperienze. Quante cose che ritornano alla memoria. Hai provato a insegnarmi tutto, tu che sapevi fare tutto, ci sei riuscito quasi niente perché quell’impronta genetica è anche tanto diversa. Ho scattato queste due foto dalla tua stanza di ospedale, senza pretese perché mi andava e voglio metterle qui. Mi hai dato tutto, ci siamo amati a modo nostro, ma in un modo bellissimo, e mi mancherai. Piango ancora un po’ … poi abbracci e silenzio. Ciao papà.
Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris.
POSTED ON 12 Mar 2023 IN
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interview
POSTED ON 14 Giu 2022 IN
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Sabato prossimo, 18 Giugno 2022, alle ore 17, nella splendida cornice (si dice così per fare figura) dell’antico palazzo di Città a Mondovì sveleremo i segreti di Herem. Si, perché il sottoscritto e Lorena Durante questa volta hanno davvero esagerato. Perché presenteremo un progetto (toh, un progetto fotografico) che stiamo costruendo da quasi un anno e che si è sviluppato in oltre 5 anni di ricerca e attività fotografica. Di cosa stiamo parlando? Sicuramente il focus è la mostra fotografica: sono 24 immagini stampate in alta risoluzione con una dimensione di 100×70 (si, avete capito bene: un metro). Ma non è una semplice raccolta di fotografie: c’è una prefazione, la descrizione di Piergiorgio Odifreddi, c’è una domanda di fondo, un percorso interattivo, una serie di considerazioni e una chiosa finale del teologo Don Enzo Bianchi che chiuderà il percorso museale. E sono decisamente orgoglioso di quanto siamo riusciti a creare, con fatica, in questi mesi. E infine, per non farci mancare nulla, abbiamo anche preparato un libro/catalogo (stampato splendidamente) con 48 immagini (il doppio di quelle esposte) che ci permetterà di raccontare in modo completo ed esaustivo il nostro progetto. Potrei spiegare meglio ed entrare nei dettagli, ma non vorrei rovinare la sorpresa ai nostri 25 visitatori. Al vernissage ci sarà anche da mangiare e da bere: ma non è la parte interessante, perché noi siamo amanti dell’arte e della cultura. Vi aspettiamo, e io non so ancora cosa mettermi.
Herem è un anatema.
Il luogo colpito dalla maledizione
diventa inviolabile ed è destinato a finire in rovina
POSTED ON 16 Gen 2022 IN
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Mi sono imbattuto in un’altra discussione, sul social di Mark Zuckerberg, dedicata alla fotografia urbex e come sempre si passa da un’esasperazione ad un’altra; l’argomento è uno dei grandi classici: la pubblicazione delle foto in esterno. E come al solito è una discussione totalmente inutile perché bisogna usare, come in tutte le cose, un po’ di logica e un po’ di cervello: un giusto mix.
È vero che le foto in esterno permettono facilmente di risalire alla location e alle coordinate di un luogo abbandonato, ma non esistono solo il bianco e il nero, ci sono diverse sfumature di grigio e non possiamo permetterci di fare di tutta l’erba un fascio: se io pubblico le foto dell’esterno del vecchio Ospedale di Mondovì non è un grosso problema, perché l’Ospedale di Mondovì è un luogo pubblico e lo conoscono tutti. Non c’è nulla da rubare all’interno e anche eventuali graffiti sulle pareti non sarebbero un peccato mortale perché la struttura andrà completamente ripristinata. Il discorso è diverso se parliamo di una villa privata con ancora gli arredi all’interno: è chiaro che le foto dell’esterno potrebbero portare personaggi loschi, ladri e rigattieri a rubare tutto il possibile (e forse anche qualcosa di più).
A dire il vero in questo tipo di urbex sarebbe meglio evitare la pubblicazione di qualsiasi tipo di immagine, non solo dell’esterno: innanzitutto per motivi di etica e poi perché con il passaparola prima o dopo le coordinate vengono fuori. È sempre successo e sarà sempre così.
E’ chiaro che in strutture di particolare pregio esiste il pericolo della deturpazione, dei graffiti, delle bombolette spray: ma nel caso sono quasi sempre gli abitanti del luogo (magari giovanissimi) ad essere i primi a scoprire la location; è quasi impossibile che un vandalo parta da Milano per andare a Imperia solamente per deturpare.
E anche necessario rimarcare un concetto molto semplice, ma fondamentale: il colpevole è sempre colui che si rende protagonista dell’azione negativa. Non è colpa del fotografo se nel mondo esistono le teste di cazzo.
Ma come in tutte le cose è sempre necessario riflettere e pensare: capire la situazione e valutare. Quando in un luogo abbandonato non c’è più nulla da rubare potrebbe verificarsi addirittura il caso contrario: che le foto smuovano l’opinione pubblica per salvaguardare il luogo abbandonato. È quello che il FAI propone da anni (con risultati decisamente interessanti) e che per esempio è successo con il Vecchio Teatro di Mondovì: la giunta comunale si è mossa e ha predisposto un piano per la messa in sicurezza e per garantire ai visitatori un affaccio per ammirare la meraviglia che si nasconde nel cuore del quartiere Piazza. Concludo con un brevissimo recap: usare sempre il cervello e mai generalizzare. Perché generalizzare è il male.
POSTED ON 30 Mag 2021 IN
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In fotografia si sente spesso parlare di Street Photography, un genere molto diffuso, di impatto e relativamente semplice, che ha la sua massima espressione in Henry Cartier-Bresson. Quasi sempre, quando si parla di street, si pensa alle grandi metropoli del pianeta: Parigi, New York, Londra, Milano, Berlino, Beinette.
E da una costola della Street Photography nasce oggi un nuovo genere, un nuovo concetto di arte di strada: la Beach Photography. In realtà non c’è niente di nuovo da inventare e anche il grande Henry ha nel suo repertorio alcune meravigliose foto di strada sul mare, come la famosissima Umbrella. Però il concetto di street, pur essendo molto simile, non è assimilabile a una foto in spiaggia. Diciamo che la Beach Photography può essere considerata come una trasposizione del suo più celebre parente. Si parte, da domani: signore e signori la Beach Photography. Sempre su questi schermi.
POSTED ON 21 Mar 2021 IN
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Il mondo urbex si divide in due grandi categorie (fra le tante): arredatori e non. Chi sono gli arredatori? Sono amanti dell’urbex e della pulizia, dell’ordine e del rigore. Sono coloro che amano comporre le scene, spostano gli oggetti, costruiscono una sceneggiatura. Può essere molto semplice, magari ci si può limitare a cambiare la posizione di un solo oggetto, oppure più complessa e articolata, sino ad arrivare alla costruzione di un’intera stanza.
Queste due foto sono state scattate alla Cascina dello Scoiattolo: l’immagine di sinistra prima, l’immagine di destra dopo il passaggio degli arredatori. Non ho idea di chi possa aver sistemato la stanza, ma si è preso il disturbo di alzare il comodino, spostare la sedia e sistemare i vestiti (presi in qualche armadio). Gli arredatori si dividono in altre due categorie: ci sono quelli che lasciano le stanze arredate come un segno del loro passaggio e c’è anche chi dopo ritorna all’orgine (doppio sbatti) per poter vantare una sorta di marchio di fabbrica (se dovessi arredare propenderei per questa seconda ipotesi). Poi c’è chi distrugge per avere l’esclusiva, ma è un altro mondo ancora.
Io invece sono terribilmente pigro, ho sempre fretta, e preferisco limitarmi a posizionare meglio gli oggetti, pulire e sistemare non fa parte dei mio io (immagino i cenni di conferma con il capo leggendo queste parole). In realtà non sono contrario a costruire un set fotografico in urbex, mi è capitato un paio di volte di collaborare in tal senso, anche se probabilmente esula un po’ dall’idea originale di esplorazione urbana. E’ un’altra cosa ancora. E Voi da che parte state?
POSTED ON 13 Dic 2020 IN
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Accendetevi una sigaretta. Com’è? Vi soddisfa? Vi sentite appagati? Sareste disposti perfino a sostenere che madre natura ha dotato l’uomo della cavità orale per dargli modo di fumare? Davvero non riuscite ad immaginare niente di meglio? Poveri voi. Voi che siete così presi dall’automatismo del fumo da rovinarvi il palato e il gusto di mangiare e di bere. Voi che fumate e non capite come mai la gente si allontana, e il vostro amore evita di baciarvi. Fumate, fumate, e vi ritrovate senza voce per parlare, o per gridare goal! allo stadio, o per cantare. Fumate, e restate senza fiato. Spegnete quella sigaretta. Dite basta. Riabituatevi al piacere di parlare, gridare, cantare, bere, baciare, respirare… scoprirete che smettere di fumare non è una rinuncia, ma una conquista. Qualcosa che dà alla vita un respiro più ampio, mille sapori nuovi.
POSTED ON 25 Nov 2020 IN
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Da tanto, troppo tempo, sento parlare di prospettiva e foto storte, ormai è un classico, e purtroppo quasi sempre si parte da presupposti errati. Cosa è giusto e cosa è sbagliato? E’ sempre difficile da comprendere. Purtroppo la fotografia è materia complicata e l’occhio umano ancora di più. Ho quindi deciso di fare un breve recap, soprattutto per me stesso, per spiegarmi e ricordare al meglio il discorso di prospettiva e per farlo farò riferimento ad uno dei più grandi fotografi del secolo scorso: Andreas Feininger, e al suo libro più conosciuto ovvero L’occhio del fotografo (Milano, Garzanti, 1976). Feininger divide la prospettiva in 4 grandi categorie: rettilinea accademica, rettilinea reale, cilindrica e sferica. Le ultime due interessano poco il discorso storto/dritto che voglio affrontare, ma l’ultima, la sferica, è quella che si ottiene con il fish-eye e in alcuni rari casi è forse la migliore che possiamo scegliere (soggettivo). La rettilinea accademica è quella che si ottiene con gli obbiettivi decentrabili (tilt & shift), con la macchina perfettamente in linea con il terreno oppure in post-produzione ed è quella che abitualmente vediamo nelle riviste di architettura. Un esempio importante di accademica è quello fornito da Berndt e Hilla Becker nella loro mastodontica e decennale opera, culminata nel celebre: Anonyme Skulpturen: Eine Typologie technischer Bauten. Vabbeh: sculture anonime. Sono una quantità industriale (è una mezza battuta per chi la capisce) di fotografie di architettura, tutte molto simili (ma costruite di proposito con il banco ottico). La rettilinea reale (e già il nome dovrebbe dare indicazioni) è quella invece in cui le linee verticali sono lasciate inclinate. Può sembrare strano, ma è questa che ricorda maggiormente la verità (se così possiamo definirla) anche se sono tutte comunque artificiali perché il nostro occhio vede in 3 dimensioni (contrariamente alla fotografia come la conosciamo che si sviluppa in 2 dimensioni) e quindi reale è un modo di dire (come mi piace definire la realtà, anche se dopo mi sento molto Morpheus). Quando le linee invece corrono in orizzontale verso un solo punto di fuga, ed è un fenomeno molto frequente in fotografia, il nostro occhio non è infastidito perché è abituato a questo tipo di distorsione. L’esempio classico è nelle rotaie di una ferrovia che puntano verso il centro del fotogramma, ma che nessuno si è mai sognato di raddrizzare. Quindi la prospettiva accademica che troviamo nella stragrande maggioranza dei libri e delle riviste di architettura è una forzatura rispetto alla percezione che abbiamo perché mette a 90 gradi le linee verticali rispetto al terreno. Feininger definisce la prospettiva accademica (utilizzata anche dal grande Gabriele Basilico) come una menzogna positiva perché l’immagine che risulta raddrizzando le linee verticali che guardano verso un punto di fuga (classicamente la foto del palazzo scattata inclinando l’obbiettivo verso l’alto) sembra più vera al nostro occhio, anche se in realtà quelle linee diagonali sono una normale rappresentazione della prospettiva. Noi viviamo in una società che viene definita ortogonale e siamo profondamente condizionati dalle linee perpendicolari e dagli angoli retti che ci circondano: è il nostro cervello che interpreta in questo modo le informazioni che arrivano dalla retina. In fotografia la scelta della prospettiva che vogliamo utilizzare è quasi sempre soggettiva e dipende esclusivamente da cosa vuole rappresentare il fotografo. Non esiste un concetto di storto oppure dritto in questo tipo di immagini, se vogliamo essere divulgativi è lampante che la prospettiva accademica sia la migliore (e la più usata in quel contesto), ma se non abbiamo la necessità della divulgazione tecnico/scientifica qualsiasi tipo di prospettiva può essere adatta, anche quella sferica, e molto dipende dal tipo di soggetto che abbiamo di fronte. Nella fotografia, che potrei definire artistica oppure anche emozionale, come può essere la fotografia urbex, l’idea è quella di rappresentare lo spazio, la sensazione, l’idea, il romanticismo e non è detto che l’approccio analitico/razionale che ci impone il cervello sia il migliore, anzi, talvolta è troppo piatto e lineare per mostrare il fascino di certi ambienti. Il discorso è molto complicato per certi versi e non riguarda solo la fotografia e l’architettura, ma si dipana nella la mente umana e nel nostro modo in interpretare il mondo attraverso occhi e cervello. Ma è tutta un’altra storia. L’importante è comprendere che ognuno può scegliere di fotografare come preferisce, ma non deve criticare/denigrare le foto degli altri in base a visioni geometriche assolutamente personali, perché il concetto di storto, in fotografia, è sempre e solo soggettivo.
Ogni buona fotografia è una sintesi ben riuscita di tecnica e arte
– Andreas Feininger
POSTED ON 26 Gen 2020 IN
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Sul web impazza la #dollypartonchallenge, la sfida lanciata dalla 74enne attrice e cantante americana che reinventa il classico avatar: consiste in pratica in una serie di quattro fotografie accompagnate da una didascalia con il nome di un social network: Linkedin, Facebook, Instagram e Tinder. E chi sono io per sfuggire a questa nuova e fondamentale moda? E quindi ecco a Voi la mia personale interpretazione. :-)
Il senso è che le quattro fotografie ritraggono il soggetto in pose e atteggiamenti molto diversi, con qualche affinità al social network alla quale sono associati: quella di Linkedin – un social network usato per trovare lavoro – seria e formale, quella di Facebook amichevole e allegra, quella di Instagram festaiola oppure un po’ artistica, e quella di Tinder – un’app per incontri – ammiccante.
POSTED ON 29 Dic 2019 IN
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Questa terribile foto non è nemmeno didascalica. E brutta, punto. Ha una sola caratteristica che la rende pubblicabile su queste pagine: è stata scattata con il nuovo RF 15-35 F/2.8 L IS USM durante le riprese del video dedicato alle ottiche RF girato con l’amico Stefano Tealdi. Ovviamente davanti alla fotocamera sono una catastrofe (anche dietro in realtà), ma credo di essermela cavata decentemente: almeno si capisce quello che dico (è stato un duro lavoro di concentrazione). Le foto della giornata sono penose, ma l’emozione gioca brutti scherzi (era comunque difficile riuscire a scattare qualcosa di artistico); per non farmi mancare nulla ho anche commesso un paio di errori imperdonabili e ripetuto circa 10 volte gli stessi concetti. Se proprio volete ammirarmi in video non Vi resta che cliccare sulle immagini qui sotto. Buona visione.


POSTED ON 16 Giu 2019 IN
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Tutti Fotografi è uno storico mensile dedicato alla fotografia, forse il più noto e diffuso in Italia. Prima del digitale (e di internet) cercava di divulgare il verbo fotografico in modo che tutti potessero diventare abili fotografi. Non è merito loro, ma credo che l’obbiettivo sia, in parte, prossimo alla realizzazione; dico in parte perchè tutti fotografi si, ma abili direi proprio di no. E questa è una discriminante importante. Si, perchè ormai è diventata un’esasperazione continua che raggiunge il proprio Nirvana durante i concerti dal vivo. Nel suo ultimo tour Marco Mengoni fa spegnere le luci sul palco e chiede al pubblico di posare i cellulari per ascoltare la musica, dal vivo, in modo reale, tangibile. E’ diventato uno show infinito. Due settimane fa ho visto (finalmente) il concerto di Cristina D’Avena, a Cuneo Comics: davanti a me tutti con le braccia alzate per fotografare/registrare. Il tipo al mio fianco condivideva in tempo reale con i suoi contatti su Whattsapp, praticamente ha pagato il biglietto per potersi vantare con gli amici: io ci sono (che poi stiamo parlando sempre di Cristina D’Avena, manco fosse la reunion dei Led Zeppelin). Quello che infastidisce il sottoscritto non è la voglia di condividere, ormai è un dato di fatto, ma la qualità della condivisione: è un problema mio e probabilmente è colpa del tono di superiorità che cerco di darmi, ma a vedere certe immagini mi si inniettano di sangue gli occhi; capisco che viviamo dentro un gigantesco social network, la vita, ma diamine un minimo di estetica è necessario. La cultura del bello è ormai sparita, frantumanta dalla condivisione, esiste solo l’essere: è nella stragrande maggioranza dei casi è anche falsato e modificato. Io credo che tornare indietro non si possa, il mondo va avanti, la tecnologia è sempre più evoluta e la curva è diventata esponenziale; ma dovremmo studiare, osservare, guardare, imparare, conoscere. Abbassare il braccio e goderci il momento, come Sean Penn. Perchè è vero che il mondo progredisce, è vero che si va avanti: ma è fondamentale crescere e migliorare. Altrimenti restiamo CAPRE.
POSTED ON 16 Dic 2018 IN
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interview








Questa intervista al sottoscritto arriva dal passato: è datata 6 maggio 2008. Praticamente la preistoria. E’ tratta dal sito Dentro Al Replay dell’amico e fotografo Libero Api. Rileggendola a distanza di anni mi fa quasi ridere: cambierei buona parte delle risposte. Eppure all’epoca ero così: decisamente imbecille. Forse lo sono ancora. Le foto in alto sono quelle che furono pubblicate (non tutte) in calce all’articolo, alcune terribili, altre decenti. Sono migliorato, di tanto, e questo è il miglior complimento che il tempo mi può regalare. Le due foto che cito nell’intervista sono rispettivamente questa e questa.
Samuele Silva: chi è?
Domanda tremendamente complessa e difficile. Appeno lo scopro te lo dico.
Quando hai iniziato?
Ho iniziato a metà anni 90, provando una Zenit 22 Russa. In realtà la fotografia è sempre stata presente nella mia vita: mio nonno era fotografo dell’esercito italiano nella guerra d’Africa. Mio padre scattava tantissime foto che poi sviluppava personalmente in una piccola camera oscura casalinga. La passione doveva solo germogliare.
Quale genere ti piace maggiormente fotografare?
Fotografo un po’ di tutto, ma sicuramente il mio genere preferito è quello umano. Uomini, donne e bambini.
Hai fatto qualche corso di fotografia?
No, ho letto tanto, quasi tutto. Ho comprato libri, ho ascoltato consigli, ho lasciato le mie foto alla gogna di amici e conoscenti più esperti. Con il tempo mi sono costruito uno stile, che giorno dopo giorno cerco di migliorare.
Quali sono i fotografi del passato e del presente che più apprezzi?
Non ci sono fotografi che mi hanno ispirato particolarmente. Recentemente osservo questi che forse non sono famosi, ma che sicuramente sono molto bravi: Davide Cherubini (Italia), Sanzen (Giappone), Bruno Taddei (Italia), Tom McFarlane (Stati Uniti), Tatiana Cardeal (Brasile), Martin Gommel (Germania).
Che attrezzatura fotografica hai usato nel passato, e quale stai attualmente utilizzando?
Ho iniziato con diverse compatte, poi il salto al Reflex con la Canon 30 a pellicola e poi il passaggio al digitale, quasi immediato. Adesso utilizzo una Canon EOS 5D con 24-105.
Qual è lo scatto al quale sei particolarmente legato?
Sono tanti, questo rappresenta uno dei primi ritratti a mio nipote.
Quali sono i tuoi progetti attuali e quali quelli per il futuro?
Per il momento il mio progetto è quello di divertirmi, scattando il più possibile, soprattutto quello che mi piace. Poi un giorno vorrei fotografare sul serio.
Hai mai esposto le tue immagini in mostre fotografiche personali o collettive?
No, non ho ancora capito se la mostra fotografica mi affascina oppure mi disgusta. Forse la prima. Vedremo…
Hai mai avuto riconoscimenti in concorsi fotografici o pubblicazioni delle tue foto su libri o riviste?
Non invio mai troppe foto in giro ma qualche riconoscimento in concorsi fotografici sono riuscito ad ottenerlo. Niente di ecclatante sia chiaro. E poi un bellissimo servizio su quella che io ritengo la migliore rivista di fotografia digitale: Photografare in digitale.
Quanto tempo dedichi alla fotografia?
Tanto. Internet, Fotografia e Sport sono i miei passatempi preferiti. Tutto il mio tempo libero.
Raccontaci un episodio curioso o simpatico durante una sessione fotografica.
Abito ad Imperia, città di mare e di vento. Non mancano certo le occasioni per fotografare regate veliche. Durante le ultime vele d’epoca ho deciso di fotografare dalla barca della giuria. Conosco il capitano e gentilmente mi ha offerto un posto privilegiato. Il problema grande è che la barca della giuria rimane ancorata durante tutta la regata e quel giorno il mare era particolarmente mosso. Nonostante una certa esperienza di mare ho accusato l’onda lunga e sono rimasto in coma per quasi otto ore. Possibilità di rientrare a terra? Nessuna. Nonostante tutto sono riuscito a portare a casa qualcosa di interessante, come questa, che rimane una delle mie foto veliche preferite.
Quando rivedi i tuoi vecchi scatti cosa pensi?
Bella, bellissima, brutta, molto brutta, orrenda, carina, bel momento, che giornata! Penso tante cose… :)
Dove sono pubblicate, sul web, le tue foto?
Sul mio Blog/Photoblog e su Flickr.
Un pensiero a chi si avvicina ora al mondo della fotografia.
Voglio citare Helmut Newton: “Il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare, tre concetti che riassumono l’arte della fotografia”. Sono tre concetti fondamentali. Chi inizia a fotografare, anche solo per passione, deve considerare questi aspetti.
POSTED ON 18 Nov 2018 IN
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Queste 4 foto, chiaramente urbex, fanno parte di una più ampia selezione dedicata all’esplorazione urbana. Sono 22 foto (di cui alcune inedite) stampate in grandi dimensioni in fine-art su pannello, scattate a 4 mani (e 2 cavalletti) con la mia compagna di avventura Lorena Durante. Sono esposte al Berlino di Ceva sino al 2 dicembre. La mostra s’intitola Polvere e Bellezza (io sono la polvere, Lorena è la bellezza: ca va sans dire), ed è il frutto di due anni di levatacce mattutine, un progetto impegnato di denuncia di luoghi abbandonati che conta anche compresi una serie innumerevole di reati penali (esageriamo), corse, scavalchi, fango, sporco, polvere, pericoli assortiti e di fotografie fatte in condizioni di luce pessima (e, poche, di luce bellissima). E anche tanta passione e bellezza. Perchè il motore di chi si diletta in questo tipo di fotografia è sempre è solo la passione. E anche un po’ di sana adrenalina (paura anche). Credo che la mostra sia interessante e che le foto abbiamo un livello di qualità davvero notevole (e stampate, bene, hanno un altro fascino). Ed è importante sapere che la bellezza si vede, ma la polvere non si sente.
Polvere e Bellezza si incontrano nei luoghi dell’abbandono; è una miscela meravigliosa di luci e colori, di incuria e tristezza. E’ l’incredibile magia dell’esplorazione urbana.
POSTED ON 2 Set 2018 IN
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Ho passato un’estate fotografica davvero difficile. Pochissimi stimoli, pochissima voglia di fotografare; ho fatto ricerca e cercato di capire come si muove la fotografia nel 2018. E sono arrivato ad una scoperta (tipo quella dell’acqua calda). La fotografia non si muove, e diventa terribilmente noiosa e nauseante, ogni giorno sempre di più. E’ un moto perpetuo di tutto uguale, di ripetizioni. Sempre le stesse facce nelle stesse pose, e la street sempre uguale, e le case abbandonate, e il tramonto in montagna, i workshop che si rincorrono, gli eventi che tutti scattano uguale, i concorsi che non sanno più cosa inventare. Mi piace definirla fotografia di massa, non riesco a trovare niente che mi interessi in questa fotografia, niente che riesca a suscitare in me quelle che vengono definite, in moto molto/troppo poetico, emozioni.
E questa estate ho detto BASTA, e mi sono lasciato trascinare dalla mia personalissima corrente senza aggiungere un’ulteriore voce a quella del coro (che scaturisce dalla massa). Non so quale direzione prendere, ho solo qualche piccola percezione, ma non voglio interessarmi alla globalizzazione fotografica. Il concetto è che sento la necessità di fotografare per me stesso, senza ricercare il consenso e il plauso degli altri, ma producendo qualcosa di diverso (e al tempo stesso interessante, magari spiazzante). Ansel Adams sosteneva che in ogni fotografia ci fossero due soggetti: il fotografo e l’osservatore. Giusto, quasi lineare. Credo che nel prossimo futuro farò in modo che questi due soggetti convergano nella stessa persona: me stesso. Forse un po’ egocentrico, ma certamente meno ansioso.
Voglio cambiare il modo di osservare e cercare un approccio diverso; è una pretesa ambiziosa (credo) e difficilmente realizzabile. Non è semplice come bere una lattina; andare fuori dal coro senza produrre foto rotonde, sfuocate e senza senso, ma cercando idee e qualità è qualcosa che in tanti provano a realizzare. Ma quasi nessuno riesce e nel 2018 non è solo complicato: è proprio al limite del impossibile. Una via di mezzo fra Ethan Hunt e Multiman (per la serie perle ai porci). Non ho più voglia di vedere sempre la stessa merda (come questa foto che rappresenta la mia personale nemesi). Datemi qualcosa di nuovo. Spengo tutto, spengo le notifiche, accendo la voglia di osservare con gli occhi aperti a unopuntodue. Deve entrare tanta luce e questa luce deve arrivare anche al cervello; il rischio è quello di rimanere abbagliati. Ci vediamo al prossimo tramonto.
L’abitudine lasciala fuori
Perché mi da fastidio vedere nulla di nuovo
Si parla sempre di amore per poi non farlo veramente
– Alessandra Amoroso
POSTED ON 13 Mag 2018 IN
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Nell’ultimo periodo ho notato che la passione per la fotografia urbex ha iniziato a prendere una strana piega. Almeno questa è la mia sensazione. Quando ho iniziato, senza nemmeno sapere che fosse urbex, ho fotografato luoghi facilmente accessibili e vietati quasi per modo di dire. Ho iniziato dalle Rovine di Poggioreale distrutte dal terremoto del 1968 e rimango convinto che quel tipo di esplorazione urbana sia la più giusta e la più utile. Perché nel mio piccolo ho sempre pensato al reportage di luoghi abbandonati come a una denuncia, a un grido (di dolore) oppure a una memoria del passato. Il mio intento era quello di far conoscere al mondo posti che avrebbero potuto diventare nuovamente importanti: penso al Castello di Beinette, all’ex collegio Salesiano di Peveragno oppure alla devastata Italcementi di Imperia. Luoghi quindi molto conosciuti, ma nonostante tutto lasciati all’incuria e all’abbandono. Nell’indifferenza. Ultimamente ho notato che questo tipo di esplorazione è diventata di serie B, di poca importanza. Quasi banale nella sua semplicità. Nel 2018 è fondamentale essere i primi a scoprire, i primi a pubblicare, i primi a vantarsi. No, questo non è il mio pensiero. Il mio immaginario è dedicato alla fotografia, e dopo alla scoperta/denuncia. Se possibile. E capisco quanto sia difficile resistere alla tentazione di violare qualcosa di ancora inesplorato, oppure quasi inesplorato: ci sono caduto anche io nel tranello, nella frenesia di scoprire. Nella figurina a tutti i costi. Ma credo che ci sia un limite invalicabile, una legge morale. La regola è tangibile e semplice: “Non portare via niente, non rompere niente, non disturbare nessuno. Cattura immagini, lascia solo impronte nella polvere”. Spaccare un lucchetto, forzare una serratura oppure utilizzare una scala per entrare dal terrazzo di una casa disabitata non rientrano in quello che è il mio concetto di urbex. Ci ho pensato molto e non voglio che questo sia il mio tipo di fotografia. Dev’essere abbandono, evidente: tutto il resto è violazione di domicilio. Non è un discorso di legge, è un discorso morale. E non venitemi a dire che tutto è uguale perché non è vero: c’è il bianco, c’è il nero e ci sono tante tipologie diverse di grigio.