



La Villa dei Levrieri appare all’improvviso, nascosta tra gli alberi, con il cancello d’ingresso lasciato aperto come se di lei non importasse più nulla a nessuno. La villa si trova circondata da alberi e vegetazione che ormai l’hanno quasi inghiottita. La sua facciata bianca spicca tra il verde, ma mostra tutti i segni del tempo e dell’abbandono. Si entra da una porta finestra che permette l’accesso ad una delle stanze al primo piano. Da lì, inizia un viaggio tra ambienti silenziosi e corridoi che raccontano una storia che non si riesce a comprendere.
All’interno la villa è ancora in buone condizioni strutturali. Le stanze sono ampie e luminose, più di quanto ci si aspetti in un luogo abbandonato. La luce naturale filtra senza ostacoli, riempiendo gli ambienti e rivelando i dettagli rimasti. Si incontrano oggetti sparsi qua e là: una strana bilancia di metallo, un organo polveroso ma quasi intatto, una cucina ancora riconoscibile nella disposizione e nei materiali. In alcune stanze ci sono tende sfilacciate, una poltrona rovinata, piccoli mobili dimenticati. Purtroppo, come spesso accade, la stupidità umana non ha limiti. Lo si capisce osservando le scritte lasciate da alcuni writers non troppo ispirati: frasi senza senso, firme sgraziate, simboli buttati lì con la grazia di un elefante su pattini. Roba che neanche in prima media, dopo due ore di matematica e una merenda andata male. Qualcuno ha pensato che scrivere upstairs is safe con lo spray sulle pareti della scala fosse una forma d’arte. Non sono ovunque, ma bastano per lasciare l’amaro in bocca.
Il punto più interessante dell’edificio è senza dubbio lo scalone centrale. È da lì che la villa prende il soprannome con cui è conosciuta. La ringhiera in ferro battuto è decorata con figure di levrieri stilizzati, snelli ed eleganti, che si ripetono a intervalli regolari. Alle estremità dello scalone un tempo c’erano delle teste di levriero scolpite, ma oggi non ne resta traccia: probabilmente sono state rimosse o rubate. Lo scalone, in marmo rosso e con un splendido corrimano di velluto, è ancora solido, e lo si può salire senza pericolo. È uno degli elementi più particolari che abbia mai visto in una villa abbandonata.
Al piano superiore ci sono varie stanze, alcune molto grandi. La stanza da letto padronale spicca per la presenza di affreschi, sia sul soffitto che su una parete. Curiosamente, sembrano appartenere a epoche diverse: il soffitto ha un’aria più antica, mentre il dipinto sulla parete, sebbene scenografico, è più recente e realizzato con una tecnica pittorica meno raffinata. La cosa che colpisce di più, però, è che il letto matrimoniale è ancora lì, intatto, con il copriletto al suo posto. È raro trovare elementi così personali in situazioni del genere: una bella sorpresa. Nelle altre stanze ci sono armadi cabina laccati in bianco e oro, in ottimo stato, che danno un’idea del gusto e del livello di comfort che doveva esserci. In una di queste si trova anche un altro camino, che riprende lo stile elegante e decorativo visto al piano inferiore. Non ci sono quadri, né libri, né foto. Nessuna traccia diretta delle persone che hanno vissuto qui. Solo la struttura della casa e pochi oggetti dimenticati.
Fuori, il giardino è invaso dalla vegetazione. La piscina è ormai una vasca vuota, piena di detriti, canna da bambù ed erbacce. Le statue che un tempo decoravano il parco sono sparite o distrutte. Resta poco, ma quel poco basta a far immaginare quanto doveva essere elegante ed eccentrico questo posto in passato. Non siamo riusciti a trovare informazioni certe sui proprietari della villa. Non c’è alcuna documentazione, nessun riferimento preciso. I dettagli architettonici fanno pensare a una famiglia molto benestante, forse con gusti un po’ bizzarri. Gente da levrieri, non da barboncini insomma. Ma il motivo dell’abbandono resta un mistero.
Abbiamo lasciato la villa con quella sensazione che spesso accompagna questo tipo di esplorazioni: il contrasto tra la bellezza di ciò che resta e la tristezza per ciò che è andato perso. La Villa dei Levrieri oggi è solo un guscio vuoto, ma conserva abbastanza elementi da raccontare un passato interessante, anche se frammentario. E forse è proprio questo il suo fascino.









































