
L’ambasciatore non è una figura realmente esistita. Come spesso accade nel mondo dell’urbex, si intrecciano indizi, pochi ma significativi, magari trovati per caso, e una grande dose di fantasia. Una fantasia che diventa il cuore pulsante di una storia capace di trasformare un semplice luogo in un racconto intrigante, una metafora della vita.
Ma per quale motivo si arriva a definirla Villa dell’Ambasciatore? Per poco, giusto per tre bandierine in bella mostra sul tavolo della sala da pranzo, come quelle che si vedono sulle auto diplomatiche, e qualche libro in inglese, testi americani che lasciano trasparire una chiara origine d’oltreoceano. Nient’altro. Nulla di concreto che possa davvero giustificare quel nome, se non la bellezza e l’eleganza della villa. Ed è proprio questa miscela di fascino e di dettagli che le ha fatto guadagnare, nel tempo, quella definizione affascinante, ma totalmente infondata: qui non ha vissuto nessun ambasciatore.
Questa villa è un susseguirsi di stanze affascinanti, ognuna con un suo carattere particolare. Appena si entra, si viene accolti da una sala da pranzo elegante, in cui spiccano le bandierine che, come dicevo prima, danno quell’idea di corpo diplomatico: il tricolore francese, la Red Ensign, la bandiera della marina mercantile del Regno Unito, e un’altra che non sono riuscito a riconoscere. Da lì, si prosegue in un percorso che ci porta a scoprire diverse camere da letto, una cucina, bagni, tutti arredati con gusto e raffinatezza. I pavimenti, sempre intensi nei colori e nei motivi, e le tappezzerie eleganti, contribuiscono a dare un’atmosfera quasi surreale, un’aria di lusso che ora si scontra con il decadimento del tempo e le pareti scrostate; ovviamente non può mancare la madonna di Lourdes, ma quella è un grande classico che non manca mai.
In realtà, se dovessi scegliere, sono tre le zone della villa che più di tutte mi hanno lasciato senza fiato. La prima è una stanza che, con il suo pianoforte verticale, un quadro con la sacra famiglia, una poltrona distrutta e una valigia aperta con fiori secchi, emana un fascino vintage e quasi malinconico, tipico del mondo urbex. Salendo al piano superiore, si accede alla soffitta, dove una stanza con vetrate colorate mi ha quasi fatto gridare al miracolo. Un baule e una poltrona sono in posizione studiata, come se il tempo si fosse fermato, lasciando intatta questa immagine che sfida la logica: e non escludo che si tratti di arredamento, anzi, un passaggio degli arredatori è assai probabile. È difficile capire cosa ci faccia una stanza del genere a quell’altezza, ma la sua bellezza è indiscutibile, affascinante nella sua stranezza. Infine, in cantina, si trova un altro spazio che nasconde un’atmosfera magica. Una stanza vuota, ma con un soffitto dipinto che serve a incorniciare un mobile storto, un baule e un attaccapanni allineati lungo il muro scrostato. Il pavimento è ricoperto da tappeti persiani ormai rovinati, segno del tempo che passa e dell’umidità. Ma questa stanza, così spoglia e così decadente, rimane una delle zone più intense della villa. La sua semplicità, in contrapposizione con il senso di abbandono, è la sua forza.
Purtroppo il tempo è passato, e sono ormai tanti anni che questa villa è in stato di abbandono: la storia dell’ammmericano e della sua sposa è un lontano ricordo. L’agenzia immobiliare che si occupava della vendita ha provato a trovare un compratore, ma alla fine ha dovuto arrendersi all’evidenza. Oggi, la villa dell’Ambasciatore inizia a mostrare notevoli segni di decadimento: il tetto sta crollando sotto i colpi delle intemperie e se la situazione dovesse continuare così è difficile dire quanto ancora resisterà. La villa, purtroppo, non ha un futuro roseo, e il suo fascino rischia di svanire nel nulla se non verrà preservato. Ah, dimenticavo: non solo Lourdes, anche Olio Carli e Bitter Campari non mancano quasi mai.
































































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