Ci sono storie che arrivano da lontano e raccontano di caldo, dispetti, avventure, emozioni, distanza geografica e tante altre cose. Torno indietro nel tempo, era la metà di luglio del 2022, una delle estati più calde di sempre e ricordo ancora il fastidio, la tremenda afa che mi attanagliava nel parcheggio di quel supermercato mentre, con il drone, sorvolavo da lontano Villa Grazia. Che poi l’ho sempre chiamata così, non so per quale motivo, ma in realtà il vero nome è Villa Sebregondi, detta La Macciasca. Si tratta di una meravigliosa dimora storica, costruita alla fine del 1700 e che oggi giace vuota, silenziosa, immobile e bellissima.
La villa è ormai vuota, depredata degli arredi, ma custodisce una storia importante e rappresenta quella sensazione di decay che per il sottoscritto è l’Urbex con la lettera iniziale maiuscola. È tutto un susseguirsi di stanze e di colori che permettono di fotografare con razionalità e pulizia, e poi quel divanetto, ormai diventato il simbolo della villa, che è tutto quello che si può chiedere alla fotografia di luoghi abbandonati. Avrei voluto tornare a Villa Grazia, ho provato un paio di volte senza riuscire e alla fine mi sono dovuto arrendere all’evidenza. Villa Grazia è diventata, suo malgrado, un simbolo di tutto quel che dovrebbe essere e che mai diventerà. Salvo complicazioni.