Uno sparo di luce, una ventata di aria bianca, una sorpresa inaspettata. Le ‘Ntuppatedde mi sono arrivate incontro senza essere attese e mi hanno colto alla sprovvista: non sapevo della loro per(e)sistenza, ma per un colpo molto fortunato le ho viste arrivare -in esclusiva- nel silenzio e nel vuoto. Poi hanno iniziato a correre senza motivo, hanno varcato il confine del mercato del pesce e sono tornate dopo qualche minuto per ballare allegre e senza senso apparente nella confusione generale di piazza del Duomo.
La rinascita delle Ntuppatedde avviene nel 2013 quando la storica tradizione è stata ripresa, anche se in termini molto diversi e decisamente più moderni, dall’artista e performer Elena Rosa e le donne vestite di bianco, e con il viso coperto, sono tornate in città, danzando per le vie del centro di Catania con un fiore rosso in mano, simboleggiante la loro rinascita e la loro libertà.
Forse qualche mio seguace più accanito (che poi manco mia madre mi legge) avrà capito che a inizio Febbraio ho preso il primo aereo disponibile e sono volato a Catania per fotografare i festeggiamenti di Sant’Agata (che ricorre il 5 febbraio). Era una festa del quale sentivo parlare da tempo e che mi incuriosiva: la città etnea si ferma per onorare la propria santa ed è un evento religioso unico al mondo. Siamo arrivati a Catania la sera di Venerdì e dopo un aperitivo veloce abbiamo girovagato per il centro alla ricerca delle prime avvisaglie della festa: non c’è voluto molto, tutta la città era in attesa, direi in febbrile eccitazione. Il ritmo e la musica si sentivano nell’aria e le prime candelore (abbiamo incontrato quella dei pescivendoli, dei panettieri e dei fiorai) iniziavano a muoversi e a ballare nei dintorni di piazza del duomo. La serata ha raggiunto il suo culmine quando i pompieri hanno posato vicino alla statua della santa un enorme mazzo di fiori, con le candelore ferme ad osservare il momento storico. Siamo andati a dormire curiosi di scoprire cosa ci avrebbe riservato il nuovo giorno, ma sono immagini e sensazioni che svelerò nelle prossime ore. Stay Tuned.
Nella testa girano pensieri
Che io non spengo
Non è uno schermo
Non interagiscono se li tocchi
Nella tasca un apparecchio
Che è specchio di quest’inferno
Dove viaggio, dove vivo, dove mangio
Con gli occhi
– Rancore
Una delle meraviglie del viaggio è provare la cucina locale; è possibile scoprire nuovi sapori e assaporare cibi conosciuti preparati all’origine. E quando ho visto la strana brace con i carciofi mi sono fatto raccontare la tradizione catanese dei cacocciuli arrustuti. Non ho resistito alla tentazione e (dopo aver fotografato) ho deciso di assaggiare il famoso carciofo: mi sono seduto sugli scalini del mercato del pesce di Catania e, accompagnato da una birra, ho provato il cacocciulo arrustuto: assolutamente da non perdere durante una visita a Catania.
Il sentiero dei Limoni è un semplice percorso di trekking che si snoda fra le città di Maiori e Minori. Non è lungo, anzi, si può espletare senza fretta in circa due ore ed è alla portata di chiunque nonostante la prima parte in salita e l’abbondante presenza di scalini. Quello che mi ha colpito è la totale assenza di limoni. Incredibile, ma vero. Ho scoperto che i limoneti sono privati e nascosti, ma basta aguzzare la vista ed è possibile scorgere qualche pianta dietro le recinzioni che fiancheggiano la strada. Il punto forte del sentiero dei Limoni è chiaramente il panorama: ad ogni curva, dietro ogni angolo, il mare spunta imperioso e lascia senza fiato.
Come dicevo all’inizio il sentiero non è faticoso, però all’arrivo a Minori, magari sudati e accaldati, consiglio di fare una piccola sosta in un locale del lungomare (poco lontano dalla Basilica di Santa Trofimena) che definire storico è forse semplicistico: la Pasticceria Sal de Riso, dove è tradizione quasi obbligatoria degustare la celebre Delizia al Limone. Vi posso garantire che non ve ne pentirete.
Nel breve e rapido passaggio a Sorrento non poteva mancare la sosta per acquistare il celebre limoncello (spoiler: attenzione a non chiamarlo limoncino). Ovviamente, senza troppe informazioni, ci siamo fermati nel negozio più commerciale dell’intera zona: il conosciutissimo Limonoro. Ammetto che la scelta è stata parzialmente condizionata dalla gente all’interno del locale, ma soprattutto per la bellissima vetrina: non è passata inosservata al mio occhio (sempre vigile) l’immagine della ragazza che con la reflex fotografa un modello sotto un sole giallo limone. Il limoncello è molto buono e la gentilezza del personale fuori scala: a furia di assaggi sono uscito dal negozio completamente ubriaco e con 4 bottiglie (ottima la crema).
E finisce così, con la strada che si presenta ai miei occhi. Una strada ancora lunga, da percorrere -come sempre- a tutta velocità. In questi due mesi ho provato a raccontare il mio viaggio in Islanda: 49 articoli per 160 immagini. Un viaggio meraviglioso e faticoso, che mi ha migliorato (credo) come persona e come fotografo. E forse la prima volta che riesco a pubblicare un reportage di viaggio senza soluzione di continuità, ma dovessi scegliere una foto simbolo del viaggio davvero non saprei davvero da che parte iniziare. Da domani si riparte. Goodbye Iceland.
La storia di questa foto alla cascata di Gljúfrafoss è un po’ bizzarra. E complicata, come complicato è riuscire a fotografare questa piccola perla nascosta. Gljúfrafoss si trova a poca distanza da Seljalandfoss, ci si arriva a piedi percorrendo un piccolo tratto di strada. Purtroppo al primo passaggio non sono riuscito a vederla, anche perché ho ricevuto indicazioni sbagliate. All’ultimo giorno, durante il rientro, siamo tornati sulle nostre tracce e non ho esitato un secondo quando mi si è presentata la possibilità di fermarmi nuovamente in questa zona.
Ho scattato con il fish-eye, esponendo sul cielo al centro del fotogramma a 400 ISO, 1/125, f/5.6. Giocoforza ho dovuto alzare le ombre e la luminosità in modo importante (e si nota) per ottenere una foto almeno comprensibile. Ho anche dovuto cambiare obbiettivo e siccome dentro la cascata è impossibile sono dovuto uscire e rientrare fra gli insulti di chi aspettava in coda (maledetti italiani). Gljúfrafoss è forse la cascata più complicata e particolare di tutta l’Islanda, ma merita davvero la doccia. :-)
Se dovessi scegliere il luogo più incredibile del mio viaggio fotografico in Islanda non avrei alcuna esitazione a indicare la Diamond Beach, nome romantico e turistico della spiaggia di Breiðamerkursandur. Si tratta di una spiaggia di sabbia nera vulcanica che diventa un museo a cielo aperto: sulla battigia infatti si posano centinaia di piccoli e stupendi iceberg. Questa meraviglia è originata dallo scioglimento dei ghiacci che si staccano continuamente dal Breiðamerkurjökull, la lingua di ghiaccio che scende dal versante meridionale del maestoso ghiacciaio Vatnajökull.
Avevo già visto delle immagini della Diamond Beach, ma sinceramente non mi aspettavano uno spettacolo di questo livello. Il contrasto fra il ghiaccio bianco/turchese e la sabbia nera è maestoso; inoltre la temperatura della spiaggia è superiore allo zero e questa differenza con il ghiaccio fa si che questo inizi a sciogliersi rilasciando nell’aria una sorta di vapore acqueo che rende l’ambiente quasi onirico. Dal punto di vista fotografico (ma non solo) sarebbe stato meraviglioso fermarsi almeno un paio di giorni per osservare la Diamond Beach nelle 24 ore (alba/tramonto) e con meteo differenti: purtroppo il tempo è tiranno e mi sono dovuto accontentare di una veloce passeggiata nel tardo pomeriggio di una giornata davvero uggiosa. Ma almeno adesso ho compreso che colore ha una giornata uggiosa.