Scotsman’s house (Casa dello Scozzese)

POSTED ON 13 Apr 2023 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Quando si esplora una location abbandonata può capitare, e capita non di rado, di scoprire tesori inaspettati e di rimanere positivamente sorpresi contro ogni aspettativa: ci sono luoghi poco considerati dal grande pubblico dell’urbex, ma che possono trasformarsi in piccole perle per gli amanti della fotografia.

Quella che viene denominata, con una certa dose di fantasia e malcelata ironia, casa dello Scozzese fa parte proprio di questa categoria; dalle frasi sentite e dalle poche foto pensavo di trovare un’ambientazione poco attraente, senza grandi spunti fotografici e con una sola stanza di prestigio. E invece…

Oltre alla stanza che dà il nome alla location, per via della tappezzeria che dovrebbe essere tipica di una certa zona della Gran Bretagna, ci sono almeno altri tre locali di notevole valore fotografico, un pianoforte, un prestigioso soffitto, un paio di biciclette e una vasca da bagno che posso definire, senza paura di smentita, intrigante. E soprattutto poca confusione, che nella mia fotografia amo il rigore asettico di certe ambientazioni minimaliste che quasi mai vengono apprezzate come dovrebbero. Sono entrato, dalla porta principale ovviamente, senza grosse aspettative e sono uscito con 16 foto che reputo davvero molto interessanti. Ah, la meravigliosa Scozia, le cornamuse, il whisky, Gordon Strachan, Edimburgo…

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La Chiesa Rosa

POSTED ON 12 Apr 2023 IN Reportage     TAGS: URBEX, church

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Definire e descrivere la Chiesa Rosa non è un’impresa semplice. È chiamata rosa perché il sole che entra dalle vetrate, e arriva sulle pareti, crea giochi di luce molto particolari, riflessi rosa, ed evidenzia decorazioni e stucchi. Quando ci si posiziona perfettamente al centro della navata e si guarda verso l’altare la definizione di chiesa è quasi riduttiva: la somiglianza con un teatro è notevole, con le colonne e la scalinata interna. Non mi era mai capitato di vedere un presbiterio di questo tipo, l’abside è nascosto e sembra quasi di entrare in scena, sul palco. Ma il dettaglio più bello sono le due file di quattro colonne con capitello, di cui le due laterali solo parziali, che insieme alla scalinata dividono la navata centrale e delimitano il transetto con una soluzione architettonica che non ho mai trovato in nessun’altra chiesa (almeno abbandonata).

Nella zona del presbiterio è situato l’altare marmoreo delimitato da quattro colonne, coperto da volta a botte e terminante in un’abside a terminazione rettilinea.

La Chiesa Rosa, il cui vero nome è San Giacomo del Bosco, fu edificata a partire dal 1680, ha una storia importante ed è ancora consacrata. Negli ultimi anni si è cercato un difficile recupero, la chiesa è chiusa e in condizioni complicate a causa di lesioni strutturali e copiose infiltrazioni di pioggia che hanno permesso all’umidità in risalita di danneggiare progressivamente materiali e superfici. Nel 2016 si è concluso un primo lotto di lavori per il rifacimento del tetto e la messa in sicurezza, con il finanziamento della Conferenza Episcopale Italiana e di Banca San Paolo. Purtroppo negli ultimi anni, nonostante i numerosi appelli, a causa dell’atavica mancanza di fondi la situazione è andata peggiorando e senza interventi urgenti la Chiesa Rosa è destinata a rimanere in condizioni precarie, abbandonata e chiusa.

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Darkness

POSTED ON 10 Apr 2023 IN Portrait     TAGS: MODEL, urbex

Darkness

Villa Tre Cime

POSTED ON 9 Apr 2023 IN Reportage     TAGS: urbex

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Questa villa viene definita Tre Cime per via di un quadro/poster delle celebri Tre Cime di Lavaredo nella camera da letto principale. Qualcuno l’ha definita anche Turista per sempre in omaggio ad un noto fotografo urbex, ma è un’altra storia che probabilmente nemmeno ci interessa.

Per la foto di copertina ho scelto però un’immagine diversa: lo studio dell’abitazione che si trova al primo piano. Quando sono entrato nella stanza, con le finestre e le persiane chiuse, la luce era inesistente, un solo grande bagliore arrivava dalla porta aperta sul corridoio. Ho sistemato il treppiede e la macchina fotografica completamente al buio utilizzando solo una torcia: per riuscire ad ottenere una foto visibile all’occhio umano ho dovuto impostare 800 ISO e f/2.8 (apertura massima del 15-35). Tempo di scatto di 20 secondi, ma nonostante tutto ho dovuto alzare la luminosità al limite del consentito in post. È un po’ forzata, ma per le condizioni di luce non posso che dirmi soddisfatto.

C’è anche un aneddoto divertente relativo a Villa Tre Cime. Recentemente ho accompagnato un gruppo di urbexer francesi in visita nel bel paese e il passaggio da queste parti è stato quasi obbligatorio. Al momento di entrare, anziché passare dal buco nella recinzione, ho deciso di scavalcare, ma non troppo agevolmente. Ho calcolato male la coppia forza necessaria/dinamica del salto e mi sono procurato una profonda abrasione sul palmo della mano (sono quasi guarito); per non farmi mancare niente sono anche rimasto agganciato con i pantaloni che si sono strappati lasciandomi in vista parte del fondoschiena. Ovviamente fra l’ilarità dei presenti.

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L’ostello di carta

POSTED ON 4 Apr 2023 IN Reportage     TAGS: URBEX

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L’ostello di Carta è una struttura ricettiva, tipicamente dedicata ai giovani, sulle colline dell’entroterra savonese. È un classico dormitorio, con stanze e bagni in comune, ma con una vista strepitosa sul mar ligure. È abbandonato ormai da tempo e le stanze hanno le pareti ricoperte di graffiti e i letti, di cui molti a castello, sono ammassati e sparsi per tutta la struttura.

L’ho definito di carta (e si tratta di un evidente gioco di parole legato ad una celebre serie TV) perché al secondo piano si trova una stanza davvero particolare. Io non so perché e ovviamente nemmeno chi. Ma qualcuno si è preso la briga di tappezzare questa stanza con le pagine di un libro. È affascinante, un lavoro lungo e certosino. Forse si è costruito un set per scattare una fotografia diversa dal solito, magari per una ripresa video. Io mi immagino una modella con un vestito composto da fogli di carta. Sul lato destro della stanza c’è una scrivania con sopra un libro, molto grande, aperto. Mi viene in mente O’ famo strano, prendendo in prestito la frase cult resa celebre dalla coppia Carlo Verdone/Claudia Gerini nel film “Viaggi di Nozze”.

Il resto dell’ostello, dopo aver visto la stanza dei fogli, perde fascino; c’è un bellissimo calciobalilla, in ottime condizioni, sulle scale: e subito mi sono immaginato le tiratissime partite fra i giovani ospiti della struttura. E poi un’infinita di stanze, locali, bagni, tutti uguali fra loro. L’esterno è decisamente in stile moderno, funzionale -tanto cemento- e credo che non dovesse essere meraviglioso nemmeno nei momenti di massimo splendore. Comunque direi location 5, servizio 4, prezzi interessanti e sotto la media. Almeno spero.

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La palazzina Liberty di Ferrania

POSTED ON 1 Apr 2023 IN Reportage     TAGS: URBEX, industrial, liberty, drone

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Di fronte alla vecchia fabbrica della Ferrania trova spazio una strana palazzina in stile liberty. È la centrale Elettrica SIPE, ormai abbandonata da tempo e vincolata dalla Soprintendenza ligure dal 2016. È bellissima. Costruita nel 1916 su progetto dell’architetto milanese Cesare Mazzocchi mostra ancora la sua antica bellezza, nonostante sia dimenticata da anni, con le meravigliose decorazioni geometriche, gli enormi finestroni e il ferro battuto. I disegni originali del progetto -studiati da Alberto Manzini- sono conservati presso l’archivio del Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (MART) e riprodotti presso il Ferrania Film Museum.

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Ferrania, la storia dimenticata

POSTED ON 31 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: URBEX, industrial, drone

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La storia della Ferrania nasce nel secolo scorso e si dipana in quasi 100 anni di storia. Sulla pellicola prodotta in questo stabilimento della Valle Bormida è scritta la storia d’Italia: La ciociara, Mamma Roma, Roma città aperta hanno in comune non solo l’ambientazione romana, ma sono tre capolavori del cinema italiano uniti anche dalla pellicola che porta il nome del piccolo paese alle spalle di Savona.

L’azienda nasce dalle ceneri della milanese Società italiana di prodotti esplodenti (Sipe), fornitrice dell’Esercito e della Marina, che nel 1906 acquisì un dinamitificio francese di Cengio, ponendo le basi perché la Val Bormida diventasse un importante polo dell’industria chimica nazionale. Con il primo conflitto mondiale, Sipe arrivò a produrre fino a 100 tonnellate di esplosivo al giorno e fu così che si espanse aprendo, nel 1915, lo stabilimento di Ferrania.

Dopo la guerra la produzione fu convertita: la nitrocellulosa, a un grado minore di nitrazione, unita alla canfora come plastificante, da esplosivo diviene pellicola. È la svolta, nacque la Fabbrica italiana lamine Milano (Film) consociata con la Pathé Frères di Vincennes, la maggiore fabbrica francese di materiale sensibile, fondando, nel 1923, quella che poi sarebbe diventata la Ferrania. Nel 1932 venne assorbita la milanese Capelli dando vita alla Film Cappelli–Ferrania, successivamente venne assorbita un’altra azienda milanese, la Tensi, e nel 1938 la ragione sociale venne modificata, diventando semplicemente Ferrania. L’azienda produceva, oltre alla pellicola, anche attrezzatura fotografica tramite la Società Anonima Apparecchi Fotografici Ferrania con il marchio Ferrania-Galileo; alcuni modelli, come la Condor I, o la Elioflex (del 1950), sono diventati iconici e hanno costruito la storia della fotografia italiana (e non solo). L’azienda arrivò anche a pubblicare, dal 1947 al 1967, una rivista, un periodico che si occupava di fotografia e che portava il nome dell’azienda.

Lo scenario tornò internazionale nel 1964: dopo un anno di trattative, il colosso americano 3M (Minnesota Mining and Manufacturing) rilevò Ferrania dall’Ifi per 50 milioni di dollari, corrisposti in parte in azioni. A guidare la società nel trentennio successivo saranno diversi manager del gruppo 3M, tutti americani, affiancati da Direttori di fabbrica italiani. Nel 1971 divenne 3M Italia, con quasi 4mila dipendenti nella sola Ferrania e una nuova sede a Segrate, in provincia di Milano. Negli Anni 80 e 90 Ferrania fu parte integrante della multinazionale; lo stabilimento non produceva soltanto pellicole per il cinema, ma anche per il settore medico, nel campo della diagnostica per immagini. La forza lavoro scese progressivamente, fino a tornare sotto le 2mila unità.

Nel 1996 iniziò il declino, 3M smise di produrre materiale fotosensibile e trasferì i settori della pellicola e del magnetico a una nuova compagnia indipendente, con sede americana, che prese il nome di Imation. Ci fu una contrazione degli investimenti con la chiusura di diversi stabilimenti europei. Nel 2004, con 850 dipendenti e 70 milioni di debiti, Ferrania fu posta in amministrazione straordinaria. Ci fu una mobilitazione di massa, ma ormai la strada era tracciata. Nel 2005 la fabbrica venne acquistata all’asta da una cordata di imprenditori genovesi, che diede vita a Ferrania Technologies, per la produzione di pannelli fotovoltaici, intermedi farmaceutici, chimica per imaging. Ma la stagione del fotosensibile, con l’avvento del digitale, era definitivamente terminata. Si cessò la produzione della pellicola e i pochi lavoratori rimasti vennero posti in mobilità, fino alla definitiva chiusura. Nel 2018 è stato inaugurato a Cairo Montenotte il Ferrania Film Museum, che mostra e racconta la storia e le dinamiche socioculturali della Ferrania. Nel 2019 con il forte ritorno della pellicola e del vintage, una nuova azienda, fondata da Nicola Baldini e Marco Pagni, ha ripreso a produrre, nello stabilimento FILM Ferrania di Cairo Montenotte, una nuova versione della celebre P30. Sono piccoli frammenti di memoria, un ritorno al passato, per non dimenticare una storia davvero importante.

Questo è un piccolo resoconto della storia della Ferrania, con una semplice ricerca è possibile approfondire in modo ulteriore i pochi importanti concetti che ho riportato. Il mio reportage sulla Ferrania mi piace definirlo, un po’ pomposamente, monumentale: in 3 diverse esplorazioni divise in 4 anni, con 2 fotocamere diverse, un drone e 5 ottiche, ho scattato 606 foto. Ne pubblico solo 82, sul quale, diversamente dal solito, ho forzato in modo forse eccessivo la post. Credo possano raccontare la situazione attuale di uno stabilimento che ha vissuto un secolo di emozioni, anche e soprattutto su pellicola.

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Alice -Gold-

POSTED ON 28 Mar 2023 IN Portrait     TAGS: model, beauty, 50ne

Alice -Gold-

Oro, oro, oro
Un diamante per un sì
Oro, oro, oro
Per averti così
Distesa, pura, ma tu ci stai
Perché accetti e ci stai?
– Mango

Elena Green Light

POSTED ON 27 Mar 2023 IN Portrait     TAGS: model, urbex, beauty, 50ne

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Elena -Al Barone-

POSTED ON 27 Mar 2023 IN Portrait     TAGS: model, urbex, beauty, 50ne

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Forte della Madonna degli Angeli

POSTED ON 24 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, military, drone

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Il Forte della Madonna degli Angeli è una fortezza ottocentesca costruita intorno al 1881 dai Savoia, si trova su una collina alle immediate spalle del centro di Savona, ad un’altitudine di 232 metri. E’ rimasta attiva sino al 1947, qui è passata la storia e si sono combattute le due guerre mondiali; nella fortezza troviamo una rampa, postazioni di cannoni, torrette telemetriche, porte blindate, cemento armato, ferro battuto, polveriera, un ponte levatoio ormai sparito nel tempo, una lapida in memoria.

Il forte ha due piani, il primo dedicato a stalle e magazzini per munizioni e il secondo alle tre postazioni per 6 obici da 280mm, poi sostituiti da altrettanti cannoni 149/23 dopo la prima guerra mondiale, e alle stazioni telemetriche, ancora conservate. Sono inoltre presenti altre due piazzole, costruite dopo la Grande Guerra davanti al forte, collegate da un ponte levatoio sul fossato (scomparso), ormai quasi del tutto scomparse. Vi è ancora, al piano superiore, una terrazza con postazioni per mortaio. Durante l’occupazione nazista, oltre che presidio della Wehrmacht, fu anche batteria controaerea tedesca, armata con 4 cannoni Flak 88 e due impianti Flakvierling.

Qui il 27 Dicembre 1943 ci fu un’importante rappresaglia nazifascista. Dopo l’attentato del 23 dicembre alla Trattoria della Stazione (luogo di ritrovo, in via XX settembre, di fascisti e tedeschi) che causò 5 morti e 15 feriti (tra questi ultimi uno dei più noti collaborazionisti lo squadrista Bonetto accanito persecutore degli antifascisti savonesi) le autorità germaniche suggerirono l’opportunità di dare un maggior rilievo all’avvenimento con una punizione esemplare che consentisse di approfittare della circostanza per eliminare alcuni tra gli antifascisti di maggior prestigio politico locale.

I fascisti tenevano intanto concitate riunioni in Federazione nel corso delle quali squadristi e militi chiedevano a gran voce che si desse un duro esempio. Fu durante una di queste riunioni, e precisamente il mattino del giorno di Santo Stefano che viene redatta la lista di 7 antifascisti da deferire al Tribunale Militare Straordinario quali “mandanti morali” dell’attentato di via XX settembre. Il mattino del 27 dicembre, alle 4, vennero così prelevati dal carcere di Sant’Agostino, (incatenati tra loro in due gruppi) e condotti, su un furgone della questura, alla caserma della milizia in corso Ricci, gli antifascisti :

Cristoforo Astengo avvocato di 56 anni
Renato Willermin avvocato di 47 anni
Francesco Calcagno contadino di 26 anni
Carlo Rebagliati falegname di 47 anni
Arturo Giacosa prima operaio di 38 anni
Amelio Bolognesi soldato di 31 anni
Aniello Savarese soldato di 21 anni

Un lapidain marmo posta sulla parete posteriore del forte, restaurata nel 2018, ricorda il tragico evento. Sul muro sono ancora visibili i fori dei proiettili del fucile mitragliatore che uccise, senza pietà, i 7 antifascisti: sotto il piombo dei traditori eroicamente cadevano.

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Officine di Sordevolo

POSTED ON 21 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial

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Ci sono realtà industriali che hanno fatto la storia del nostro paese e poi dal nulla vengono inghiottite dall’oblio in pochi istanti. Le officine di Sordevolo nascono come Stabilimento Meccanico Romano & Pidello nel 1927, fondate, in un periodo storico decisamente complicato, da Luigi Romano, specialista della ricerca e dell’organizzazione tecnica (alcuni brevetti FIAT portano il suo nome) e da Andrea Pidello, uomo brillante e di buona cultura, esperto in organizzazione industriale e commerciale.

Nel 1927 la fabbrica lavorava ormai a pieno ritmo: l’ora dell’inaugurazione era giunta. Purtroppo fu l’ora della tragedia. Un mattino di gennaio Andrea Pidello passava in rassegna la fabbrica, percorreva reparti e saloni, controllava il procedere del lavoro. Nel salone maggiore, per la metà occupato dai torni, volle controllare il funzionamento di una puleggia della trasmissione; vi salì con la scala a pioli: in un baleno il congegno lo afferrò per l’abito e, sbattuto contro la scala, cadde sul pavimento di cemento. L’infortunio era stato tanto fulmineo che neppure tutti si erano resi conto dell’accaduto e nessuno fece in tempo a intervenire. Ricoverato in ospedale, Andrea Pidello moriva dopo lunghi giorni di sofferenza e di cure inefficaci. Nel cimitero di Sordevolo, la lapide funeraria porta inciso: «Fatale disgrazia troncò sul lavoro la vita buona intelligente operosa – Pidello Andrea – 1890-1927».

La produzione principale si qualificava nel settore automobilistico, in particolare degli ingranaggi, delle coppie pignone-corona, dei cambi di marcia: nell’Agosto del 1933 Sua Altezza Reale Adalberto di Savoia, Duca di Bergamo, venne in visita allo stabilimento e volle provare il cambio Sistema RP: ne fu talmente soddisfatto che decise di montarlo sulla sua vettura personale. In quegli anni la produzione aumentò notevolmente anche grazie agli ordini governativi per le forniture della guerra coloniale di Abissinia; entrò in azienda Costanzo Sormano, molto noto come esponente dell’establishment fascista biellese: la ditta assunse la forma giuridica e la denominazione di “Società Anonima Officine di Sordevolo”. Dopo la crisi della seconda guerra mondiale, e il primo difficile periodo di ricostruzione, le Officine ripresero la lavorare a pieno ritmo anche grazie agli aiuti e alle sovvenzioni del Piano Marshall, provvedimento finanziato dagli Stati Uniti per il sostegno della ripresa dell’economia e del sistema produttivo dell’Europa libera.

Nel 1972 ci fu un cambio di proprietà, una ditta torinese specializzata in ricambi rilevò le quote di maggioranza, ci fu una ristrutturazione, ma il declino fu lento e inesorabile e portò le storiche Officine di Sordevolo alla chiusura alla fine del secolo scorso. Un’altra azienda storica del tessuto industriale del nostro paese dovette cessare l’attività. E pensare che negli anni di pieno sviluppo lo stabilimento aveva occupato sino a 200 dipendenti, su una linea produttiva che partiva dalle barre di ferro grezzo e di acciaio per giungere al prodotto finito. Oggi il celebre Stabilimento Meccanico Romano & Pidello è uno scheletro abbandonato a se stesso, qui vive il ricordo di un paese e di una fabbrica che ha vissuto con entusiasmo e vigore la storia del secolo scorso attraverso il fascismo, la seconda guerra mondiale, la ricostruzione e la crisi. Ad Maiora Sperem

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Palazzo Bordoni

POSTED ON 20 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, liberty

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Palazzo Bordoni certo non si nasconde: appena si entra in Altare, arrivando dal mare, appare maestoso, in alto, come a dominare il paese e la sottostante via Gramsci. E poi quando arrivi davanti all’entrata un cartello indica che fa parte dell’itinerario Napoleonico come fosse un museo visitabile; ed in effetti è visitabile anche se non c’è nulla: il cancello è aperto, si segue una stradina sterrata dove la vegetazione ha preso il sopravvento e si arriva davanti al portone d’ingresso, ovviamente spalancato. È quasi difficile definirlo urbex, nonostante sia abbandonato da tantissimi anni sembra quasi che dopo gli scalini, sulla destra, possa esserci la biglietteria.

Palazzo Bordoni, villa imponente. Fu edificata nel 1904 per volere dell’omonimo avvocato che la commissionò all’ingegnere savonese Martinengo. Il palazzo si presenta con un’altalena di stile che un po’ ricorda il liberty, un po’ il barocco. Che cosa ci colpisce? La scala: maestosa. È l’anima del palazzo. La sua ringhiera, motivo floreale in ferro battuto, accompagna gradini di marmo verde e si snoda sinuosa come si conviene a una signora di classe. Ti porta fino alla sua sommità, fino al ballatoio. La stessa scala, nel 1991, fu vincolata dalla Soprintendenza come bene di importanza storica.

Durante il secondo conflitto mondiale Palazzo Bordoni ospitò il battaglione San Marco che fissò qui il suo quartier generale in quanto Altare era un valico di notevole importanza strategica per l’accesso dalla Liguria verso il Piemonte. Negli ultimi decenni del secolo scorso si parlò ripetutamente di recupero, ma ovviamente furono spese solo parole e nessuna azione concreta. Ad oggi il terzo piano è assolutamente inagibile, il ballatoio inizia a dare segni di cedimento e la meravigliosa scala in marmo verde e ferro battuto è pericolante e pericolosa. Palazzo Bordoni è uno di quei luoghi che non si può nascondere, ma che anzi deve condiviso il più possibile perché non merita di finire nel dimenticatoio.

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Chiesa di San Lorenzo -Zeri-

POSTED ON 18 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, church

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Se devo scegliere la più pericolosa, tra le tante infiltrazioni urbex degli ultimi anni, il pensiero corre subito alla Chiesa di San Lorenzo, a Zeri, sul confine fra Liguria e Toscana (in realtà anche Villa Wannabe non male). La Chiesa di San Lorenzo è chiusa da più di trent’anni per pericolo di crollo e non sono previste operazioni salvataggio/ristrutturazione e nemmeno di messa in sicurezza: un cartello avvisa del pericolo di crollo, stop.

Osservandola da fuori sembra quasi normale, ma dentro diventa una roulette russa; forse per la prima volta ho sentito la necessità di utilizzare un casco (che ovviamente non avevo).

L’idea che dal tetto possa scendere qualcosa, forse anche tutto, è palpabile e la sensazione di pericolo si respira e si sente: per diversi minuti mi sono guardato intorno sperando che il lampadario non cadesse e ancora adesso mi chiedo quale forza miracolosa gli permetta di rimanere ancorato al soffitto. Ho scattato il più rapidamente possibile, pregando sottovoce, e sono scappato alla velocità della luce dedicandomi alle più tranquille foto in esterno (e con il drone). Sinceramente non so per quanto possa ancora rimanere in piedi, ma sconsiglio fortemente di tentare l’intrusione: è davvero molto pericolante.

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Il Castello tra le nebbie

POSTED ON 15 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: URBEX, castle

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Siamo arrivati al Castello di B. in un mattina di tardo autunno. L’aria era fredda in anticipo rispetto all’inverno, la nebbia quasi nascondeva la strada. L’entrata è molto stretta e complicata, ma la nebbia e la rarefazione dell’alba ci hanno permesso di rimanere nascosti. Il Castello è antico, anzi, antichissimo, ma dimenticato da tempo. Nel corso dei secoli ha subito modifiche architettoniche importanti che ne hanno trasformato la struttura originale: si tratta di una massiccia costruzione quadrilatera, che aveva probabilmente ai suoi angoli quattro torri. Su alcuni resti di intonaco sono ancora visibili tracce di una decorazione pittorica in stile barocco, risalente con probabilità al XVII secolo.

Negli ultimi anni il castello era adibito ad abitazione privata, i ricordi sono tantissimi: libri, bambole, quadri, tantissimi quadri, lampade, poltrone, foto, un telefono a disco e anche il monitor di un iMac. Il tutto confuso e condiviso da un senso di disordine che sfugge alla comprensione e che lascia un senso di fastidio quasi tangibile a pensare a tanta bellezza, anche nei piccoli dettagli, che cade in rovina e viene abbandonata nell’indifferenza del mondo. La camera da letto è un piccolo capolavoro: molto grande, il soffitto decorato, i mobili antichi, le poltrone, i quadri meravigliosi, il passeggino e la bambola, la polvere e le ragnatele. Meravigliosa, un sogno nella sua memorabile decadenza.

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La chiesa del Santo con gli stivaletti

POSTED ON 10 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, church

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Che però la statua del Santo con gli stivaletti non c’è più. È sparita, insieme ad altri arredi e decorazioni. Io spero che sia stata spostata in un luogo più sicuro, anche perché credo che nessuno avrebbe l’ardire di rubare una statua di quelle dimensioni e così particolare. Per descrivere questa piccola chiesetta, il vero nome è Chiesa della Santa Croce, vi lascio alle parole di Lorena Durante, nel suo articolo trovate anche le foto del santo.

Questa piccola chiesetta è totalmente immersa e nascosta nel verde in un fitto bosco tra le colline del centro Italia. Non ha nemmeno un piccolo spiazzo davanti e neanche il campanile. La costruzione della chiesa risale al XVII secolo ed è composta da pietre incastonate l’un l’altra, non è più agibile a causa dai danni subiti dall’ultimo terremoto che ha colpito duramente la zona. La facciata non è stuccata eccetto nella parte centrale dove un arco ribassato inquadra il portone. Molto semplice e austera presenta due lesene laterali con capitello e timpano non pronunciato che poggia su una modanatura orizzontale. L’interno è molto semplice, stuccato di bianco, il movimento alle pareti viene affidato a paraste dalla base e dai capitelli semplici che corrono lungo tutte le pareti e da due zone lievemente arretrate chiuse ad arco una delle quali contiene un altare e una nicchia. La volta è a botte con lunette. La chiesa è conosciuta con questo nome per la presenza di una scultura lignea di un santo con ai piedi degli stivali che quando abbiamo fatto questa esplorazione era stato svestito dal mantello e dalla mitra. La chiesa si presenta con un livello alto di degrado, come dicevo all’inizio, proprio a causa di eventi sismici che hanno provocato gravi fessure passanti ed è stata purtroppo abbandonata al suo triste destino.

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