Se c’è una torre io devo salire. E’ tautologico. E quando ho visto la Donauturm a Vienna non ho resistito alla tentazione, ho dovuto. E devo ammettere che, come sempre, ne è valsa la pena; cioè, dal punto di vista fotografico trovo terribile salire, le foto sono sempre più efficaci dal basso. Anche perché generalmente l’evento avviene in orari non compatibili con la buona fotografia (anche se in realtà nel caso specifico di Vienna sono stato piuttosto fortunato). Ma dal punto di vista emozionale sentire il vento sulla pelle (c’è sempre vento in alto) e ammirare il paesaggio è una sensazione davvero unica. Sempre più in altoooo…
252 metri di altezza, due ascensori rapidi, durata della corsa 35 secondi: dalla terrazza panoramica della Torre del Danubio, ad un’altezza di 155 metri, si gode la vista migliore su Vienna. Il panorama a 360 gradi sulla città è mozzafiato. Recentemente ristrutturata, la Torre del Danubio si presenta nel suo nuovo splendore. Anzi, nel suo vecchio splendore! Il ristorante sulla torre, che ruota intorno al proprio asse, e il caffè ad un’altezza di 170 metri sono stati riportati indietro allo stile degli anni ’60, naturalmente reinterpretato in chiave moderna e aggiornando il livello tecnico degli impianti. La Torre del Danubio fu costruita nel 1964, in occasione della Mostra viennese del giardino.
Kalesi nella lingua locale (il cappadociano?) significa castello e questo è il celebre castello di Uchisar. L’avevo già notato il giorno prima dalla mongolfiera e appena sceso a terra avevo puntato la mia bussola proprio su Uchisar. E’ un castello davvero molto particolare in quanto interamente di tufo e completamente naturale. Uchisar è un po’ la Matera Turca, se mi permettete il paragone. Purtroppo non siamo riusciti ad entrare, a Gennaio la piccola città della Cappadocia vive la stessa trasformazione di Rimini e locali, musei e attrazioni turistiche sono chiusi. Ma comunque la bellezza è tutta nella vista (ricorda vagamente Porto Maurizio, ma questa la capiranno solo i Ciantafurche): e infatti abbiamo incontrato la giornata più nebbiosa degli ultimi 150 anni. Ma per un momento, velocissimo, la nebbia è scesa. E ho scattato una foto ricordo senza timore reverenziale.
Sulla strada che porta a Uchisar la nebbia era clamorosa e non si vedeva a un palmo dal naso. Magari il panorama sarebbe anche stato interessante con il sole. Ma quel giorno no. E poi c’era questo simpatico oggetto, una specie di binocolo a pagamento per osservare il mondo; ne ho visti tantissimi, in tutti i posti panoramici del mondo, ma come quello davvero mai. E ho subito notato una somiglianza con Wall-E, il simpatico robot della Disney/Pixar. Sono stato costretto, ho dovuto fotografare. Chissà se il nostro simpatico amico è ancora al suo posto. Se qualcuno potesse controllare sarei contento di sapere che sta bene.
Ovviamente il titolo è inteso in senso fotografico. Questo foto sono un pot-pourri di due giorni nella capitale morale della Turchia, l’incrocio delle razze e degli uomini; sono ammantate di un velo malinconico, di ricordi, di storie del passato, del tempo che non torna, di una gioventù spensierata. Forse sto esagerando, d’altronde non sono passati nemmeno 7 anni, ma qui voglio raccontare la mia storia, non è una vetrina, e voglio pubblicare quello che osserva e memorizza la mia macchina fotografica. E Istanbul non si può dimenticare.
La cisterna basilica è uno dei monumenti più importanti di Istanbul. Fu fatta costruire dall’imperatore Giustiniano nel 532. E’ uno spazio sotterraneo enorme di circa 140 metri per 70, in cui trovano spazio dodici file di 28 colonne alte 9 metri e distanti l’una dall’altra quasi 5 metri. I capitelli sono un misto tra gli stili ionico e corinzio, con rare eccezioni di dorico e di colonne non decorate. La stragrande maggioranza del materiale è di recupero, addirittura la base di una delle colonne è una enorme testa di medusa proveniente probabilmente da un arco monumentale del foro di Costantino. E che io non sono riuscito a fotografare, non l’ho trovata. La cisterna è totalmente è prevedibilmente buia, illuminata da qualche faretto, e fotografare (senza treppiede) è un’impresa. Tutte le foto sono scattate a 3200 iso e, purtroppo, a tuttaapertura. Ho lasciato anche un’immagine bruttissima che ho scattato ai pesci che vivono nell’acqua bassa della cisterna: 6400 iso, 1/20 e si vede. Ma quando si racconta talvolta è necessario chiudere un occhio sulla qualità.
Quando abbiamo progettato in viaggio in Turchia il focus era semplice e lineare: andare in Cappadocia e volare in mongolfiera. Perché già da qualche anno mi intrigava l’idea e volevo fotografare gli splendidi scenari che avevo ammirato mille volte nelle foto sparpagliate in rete. Siamo andati in Inverno, a Gennaio, e faceva un freddo clamoroso. Andare in Inverno porta vantaggi e svantaggi, ma pesando le varie componenti io consiglierei di andare in Inverno e sono contento di aver scelto Gennaio. Perché se è vero che il numero delle mongolfiere è inferiore (in estate si possono vedere nel cielo sino a 100 mongolfiere, nella brutta stagione difficilmente si arriva a 50) e quindi lo spettacolo da quel punto di vista non è al massimo, d’altrocanto c’è la possibilità di alzarsi nettamente dopo (si parte prima dell’alba), i costi un pochino scendono (non troppo) e il panorama, con il gelo, diventa fiabesco. Noi siamo stati fortunati perché abbiamo trovato un cielo sereno e la nebbia a terra tipica del periodo che ha reso l’atmosfera davvero magica. E’ stato il mio primo volo e quel giorno ho sfatato un mito: la mongolfiera non è adrenalinica come pensavo, anzi, è rilassante. Si viene cullati dall’aria e ci si dondola in tutta serenità nel cielo. In Cappadocia poi il cesto è davvero enorme rispetto alla versione europea (le più piccole possono portare sino a 24 persone) e di conseguenza anche molto stabile, questo accentua nettamente l’idea di pace e tranquillità. Avevo già pubblicato due immagini in passato e oggi concludo con il resto del reportage. E’ una cosa che andava fatta; scusate il ritardo.
Le mongolfiere, con il loro vagare nel cielo, portano più a un destino che a una destinazione.
– Fabrizio Caramagna
Ho scattato queste foto al Grande Bazar d’Istanbul, un mercato incredibile e variopinto. E’ uno dei mercati coperti più grandi e antichi del mondo con 61 strade coperte e oltre 4.000 negozi che attirano ogni giorno tra 250.000 e 400.000 visitatori. Purtroppo la nostra visita è durata un battito di ciglia, giusto il tempo per capire e comprendere la quantità di persone che transitano giornalmente per questi corridori e per ammirare i colori e i sapori del bazar. Ricordo di aver assaggiato un terribile dolce (davvero troppo dolce) al miele. Ma il mio animo ligure ha prevalso e non ho comprato nulla. :-(
Un vago riferimento, sui social, alla Cappadocia mi ha fatto tornare in mente la mia meravigliosa vacanza in Turchia del 2014. E adesso sono qui che ascolto Istanbul dei Litfiba e post-produco foto di quasi 7 anni fa. Perché alla Turchia devo ancora qualcosa dal punto di vista fotografico, per motivi di confusione e lieti eventi non ero riuscito a dedicare troppo tempo a quella incredibile esperienza. Ho scoperto che qualcosa di buono ero riuscito a combinare, nonostante l’assurdità di quei giorni. E sono giorni che ricordo ancora con immenso piacere (e colgo l’occasione per salutare i miei improvvisati compagni di viaggio dell’epoca). Questa è la versione street di quella vacanza, sono le foto che ho scattato girando a piedi per Istanbul nei primi due giorni. Davvero incrocio delle razze e dei popoli. Ma non è finita qui. :-)
Il mio volto nel fango di Istanbul
Istanbul Istanbul baluardo sacro per
L’incrocio delle razze degli uomini brucerà
Istanbul, Istanbul
Forze oscure in Istanbul
– Litfiba
Hundertwasserhaus è una quartiere popolare di Vienna, un insieme di case a basso costo che vengono affittate dal comune a famiglie con difficoltà economiche favorendo i nuclei con velleità artistiche. Deve il nome a Friedensreich Hundertwasser, l’architetto e artista che ne ha curato la realizzazione nel 1986. E io dico, già hai un nome difficile e trova qualcosa di più semplice, no? Ha preferito complicarlo aggiunge il suffisso haus, in tedesco casa, per renderlo ancora più divertente. Il medico dell’architettura (così si è definito) ha creato, nonostante il nome, qualcosa di meraviglioso e turistico (suo malgrado credo, ma ormai è diventato una delle attrazioni più in della città). Ha deciso che serviva infondere allegria e gioia e la struttura è davvero bizzarra, non ci sono mai spigoli vivi, le linee sono morbide, le facciate multicolori, ricoperte in alcuni casi di ceramiche. Davvero particolare. Fotografare un’opera del genere è complicato, quindi ho deciso di dedicarmi semplicemente alla facciata principale, la più celebre, è scattare dal basso verso l’altro per ricordare il concetto di Hundertwasser secondo cui tutto ciò che punta verso il cielo appartiene all’uomo.
In ogni terrazza vi sono giardini pensili che servono a portare il verde in ogni abitazione. La creazione di questi ultimi, in particolare, è un chiaro riferimento ad uno dei concetti chiave dell’artista, secondo cui tutto ciò che si espande in orizzontale appartiene alla natura e tutto ciò che si innalza al cielo, all’uomo. Molti materiali utilizzati, come, ad esempio, le ceramiche delle decorazioni delle facciate, sono di recupero. Le case di Hundertwasser sono diventate una vera e propria attrazione turistica e attirano ogni anno migliaia di turisti tant’è che sono sorti negozietti, bar, chioschi e caffetterie nelle immediate vicinanze. Nella galleria di Hundertwasserhaus ci si può soffermare per assaporare un caffè (osservando il ruscello che scende dalla parete attraversando tutto il bancone) o gustare qualche specialità tipica viennese. Perfino i servizi igienici sono in stile, infatti fanno parte delle Toilet of modern art dove ceramiche decorative, fontane e colori sgargianti rendono allegro e piacevole anche questo ambiente.
Avevo promesso una foto delle Torri del Vajolet e amo mantenere le promesse. L’ascesa che porta dal rifugio Vajolet al rifugio Re Alberto Primo è decisamente difficile e in alcuni punti impegnativi è dotata di una corda metallica per aiutarsi nella salita. Ho percorso questo tratto in un tempo praticamente record (quasi di corsa) grazie all’aiuto di un esperto conoscitore della zona che mi preceduto (aveva fretta) e con il quale ho scambiato qualche parola durante il tragitto: è stato davvero divertente utilizzare una via secondaria e superare le centinaia di persone (purtroppo alcune davvero inesperte) che avanzavano troppo lentamente. Arrivato sul piano che permette di ammirare le Torri sono rimasto un po’ deluso: purtroppo l’orario era forse il peggiore e il cielo troppo terso. Ho provato comunque con il polarizzatore e un filtro ND per ottenere un mosso delle poche nuvole e per eliminare le persone che brulicavano in cresta. Non è una foto che rimarrà nella mia personale storia fotografica, ma era comunque un obbiettivo. E mi piace lasciare qui la prova di un traguardo raggiunto.
Lui è Enrico ‘Busker’ Cappellari, artista di strada viaggiatore. L’ho incontrato (e fotografato) nello spiazzo antistante il rifugio Vajolet, a 2243 metri sul livello del mare. Da lì a poco sarei partito all’inseguimento delle celebri torri (magari poi un giorno le farò anche vedere). Pittoresco e bravissimo. Ovviamente per fotografarlo ho dato un po’ di me sotto forma di due euro. Ho scoperto dalla sua pagina facebook che quello era il suo ultimo giorno sulle Dolomiti, e quindi direi che ho avuto tanta fortuna. Buon viaggio Enrico. :-)
Sto dando tutto di me in cambio di qualcosa di Voi.
– Enrico Busker Cappellari