Sono arrivato in macchina, prima dell’alba, alla ricerca di un pilone, perché qui viene ancora chiamato così. Ma in realtà il pilone dell’Olocco è stato sostituito alla fine dell’ottocento da una meravigliosa cappella. Ci si arriva per una strada decisamente impervia, asfaltata da poco, e quando si giunge alla meta il panorama merita davvero la strada. Non è distante da casa mia, circa 15 minuti, eppure prima ci ero stato, quasi per caso, solo una volta, a scattare foto di ritratto. Quando sono arrivato era ancora buio (e freddo), iniziava ad albeggiare ed intuivo che qualcosa di interessante sarebbe potuto nascere. Ho scelto due/tre posizioni che ho ritenuto adatte, ho settato la EOS R e ho iniziato a scattare alle prime luci. Poi sono partito per il giro delle borgate; ma questa è un’altra storia e la racconterò la prossima volta.
La cappella che ha sostituito il Pilone è stata costruita col concorso di tutti i lurisiani e di molti della Valle Pesio negli anni 1884-1885. Fuori della Chiesetta la natura regala una bella vista: un’anfiteatro tutto verde di prati e boschi, che oggi avanzano sempre più, alle spalle l’elegante profilo della Bisalta e davanti il fondovalle di Lurisia, Roccaforte, Villanova, Mondovì e, oltre, le Langhe. Fermarsi a fare una merenda è una tradizione. Un tempo per la festa, a metà agosto, arrivavano fin quassù i carretti con vino e gazzose, con pane, formaggio e salame; passavano dalla strada che sale dal Mortè, tenendosi su una cresta tra i boschi. Oggi c’è la strada asfaltata e si può arrivare con tutto il necessario, compreso fornelli, frigo e tende. Per scendere a valle si può scegliere la via sul versante opposto del torrente: si parte in piano, in mezzo al bosco, si beve ad una fresca sorgente pulita, si continua, fuori dal bosco, in un prato ripido; s’incontrano delle malghe da sempre usate in estate per l’alpeggio da gente della valle Pesio.
Breve storia triste. Sabato mattina, poco dopo l’alba, sono passato da Barolo. Panorama perfetto, nebbia pittorica, almeno 15 fotografi con il treppiede. Un sogno, panorama incredibile. Ho scattato una foto (questa) e poi sono dovuto andare via per motivi non dipendenti dalla mia volontà. Fastidio.
Tutto ciò che si è fatto in Occidente durante tanti secoli si è fatto all’ombra gigantesca della croce.
– Paul Louis Couchoud
Questa mattina levataccia per fotografare l’alba che dalle avvisaglie meteo poteva essere interessante. Mi sono arrampicato sino al Sacrario di Bastia e ho fotograto le Langhe nella direzione opposta. Treppiede, tempi lunghi e polarizzatore (anche se nel caso è servito a poco), anche triple esposizione: ma ho preferito alzare le ombre (troppo) ed evitare l’utilizzo dell’HDR. Questo mi ha creato un rumore eccessivo nelle zone scure, ma nel caso non è un fattore importante (credo). Anzi, adoro l’aurea che conferisce alle foto.
Non prenderla sul personale
Non mi interessa più ridere
Alle frasi di chi non capisce che
Basta tacere per volersi bene
Questo è il 13° post dedicato al Lago di Pianfei. Discreto numero. In questi giorni però le temperature sono quasi sempre sotto lo zero e volevo controllare la situazione dell’acqua; diciamo la situazione del ghiaccio che di acqua non ne ho visto molta. La temperatura era davvero rigida, ma sinceramente pensavo peggio. Sono sceso con qualche difficoltà verso le sponde del lago e ho fotografo con treppiede e lunga esposizione: purtroppo il crepuscolo sarebbe arrivato solo da lì a qualche minuto e mi sono dovuto accontentare dell’ora blu.
Galeazza è qualcosa che per il mondo non significa nulla. Per gli imperiesi, ma forse dovrei dire onegliesi, è la conclusione di una storia. Dopo la Galeazza c’è il vuoto, è lo scoglio posto alla fine del mondo conosciuto. Perché qui finisce Imperia, è una linea di demarcazione fondamentale. La Galeazza è una spiaggia: difficile, dura, impegnativa, di sassi e scogli, ma romantica e personale. Perché solo i ciantafurche (i cacelotti sicuramente no, ma loro cosa possono saperne?) riescono ad amare questo piccolo tratto di costa e il suo simbolo: la Galeazza, l’enorme scoglio dal quale è obbligatorio tuffarsi per essere veri, vivi e uomini. Io adoro questo piccolo lembo di spiaggia cattiva, significa tantissimo per me: è dove andavo da bambino, è dove ho imparato a nuotare; è il tuffo rinfrescante dopo la corsa serale sull’incompiuta. Ma la meraviglia della Galeazza è il rumore delle onde che si infrangono sulle pietre, nel silenzio dell’alba. E’ un suono che può sembrare ostico, ma che in realtà, per chi sa ascoltare, è dolcissimo. E carico di emozioni, di vita.
[…] Anche la Galeazza è ciottoli, scogli, tranquillità, ma soprattutto ha un panorama unico visto dal mare. La spiaggia è dominata da una collina di macchia mediterranea e pini di Aleppo, punteggiata da qualche villa opulenta che non disturba, ma lascia immaginare un passato non lontano in cui una parte era coltivata a vigneto e le foche monache saltellavano goffamente sulla riva per divorare l’uva matura. In mare si alza la Galeazza, cinque metri di scoglio che pare una nave antica, da sempre tappa del rituale di formazione dei ragazzi locali e no: chi si tuffa dalla cima diventa automaticamente adulto.
E’ un fondale indistinto.
Nel colore plumbeo vedo levigatoun manto d’acque.
Schiarita da schiume biancastre
la luce s’inerpica sulle gole
e nei meandri più bui
che la roccia riveste,
accocolati e avvinghiati nel salso,
sassi e sassetti si radunanosu rade schiumose.
Lì restanofinchè una corrente invadenteli assale,li sposta.
Graffiate e scavateda miriadi di anni,
le rocce s’imbevono,si nutrono
vivendo nel giogo tortuoso einvadentedell’incessante flusso.
Con l’arrivo del freddo e con l’accorciarsi delle giornate sto riscoprendo il piacere di fotografare all’alba. E devo ammettere che il fatto che il crepuscolo arrivi in orari umani aiuta non poco questa attività; le gioie sono però limitate in quanto le temperature sono davvero al limite del sopportabile. Quindi è necessario armarsi di guanti, cappello, sciarpa e abbigliamento pesante, che il congelamento è dietro l’angolo. Queste tre foto sono scattate sul lago Maggiore, al Terminal Traghetti di Pallanza, pochi minuti dopo le 7 di mattina. Treppiede, tempi lunghi di scatto, livella, pazienza e una sana voglia di sopportare il freddo.