Cefalù è stata come un pugno nello stomaco, un pugno che non ti aspetti e che ti arriva di sorpresa lasciandoti stordito. Mi aspettavo il solito paese di mare, una spiaggia, tanta gente, negozi di souvenir. Non mi ero informato prima di arrivare e sulle prime le mie aspettative non sono state disattese: sabbia, caldo, traffico. Poi mi sono infilato, quasi per errore, nel centro storico. E la bellezza è esplosa in tutta la sua potenza: sono passato sull’esterno, sul mare. E sono rimasto incredulo davanti alla bellezza selvaggia di Cefalù; tutto il centro storico è di un livello incredibile e ogni strada, ogni angolo, lascia senza parole. Ho scelto una sola foto: il Bastione di Capo Marchiafava. Si tatta di una piccola piazza a forma poligonale rivolta verso il mare, un vecchio elemento difensivo, un baluardo del XVII secolo recentemente restaurato e dal quale si può ammirare tutta la bellezza della costa di Cefalù. Mi sono sistemato sui gradini della chiesa dell’Itria (che si affaccia sul bastione) e ho fotografato con il 14mm (nessun taglio) aspettando che la piazza fosse vuota. E non sono riuscito a rendere nemmeno in minima parte l’atmosfera pazzesca di questo luogo.
Pietra Lunga è una spina vulcanica presente nella zona meridionale dell’isola di Lipari, presso lo stretto tra quest’ultima e Vulcano, nelle Isole Eolie. Si affianca alla sua inseparabile compagna: Pietra Menalda, che nella foto è nascosta. Sono chiamati Faraglioni di Lipari. E’ una cartolina ripresa dal traghetto che da Messina mi portava a Lipari (e ritorno); una foto turistica, molto semplice, banale. Però nonostante le difficoltà di scatto (orario, posizione, rollio) ha il suo perchè. Almeno credo.
La Playa de Papagayo a Lanzarote è considerata una delle 10 spiagge più belle del mondo. Meravigliosa ed affascinante, la vista dall’alto è qualcosa di mozzafiato, ma la posizione in classifica mi sembra davvero eccessiva. Si raggiunge attraverso una luuuunga strada sterrata (pedaggio 3 euro) ed è leggermente (eufemistico) ventosa. Ci sono arrivato a metà mattinata, con il sole altissimo nel cielo, un vento pazzesco e pochissime opportunità fotografiche. Data la mia idiosincrasia alla vita di spiaggia ho colto l’occasione per un giro nei dintorni; le foto sono noiose, ma avevo il piacere di lasciare un ricordo di Papagayo Beach su queste pagine. Piccola vanità. Ho utilizzato un filtro di cross-processing nel tentativo di rendere i colori più interessanti, tentativo riuscito solo parzialmente.
El Golfo è un piccolo paesino sulla costa Ovest dell’isola di Lanzarote; ai limiti del parco nazionale del Timanfaya e poco più a Nord del punto panoramico di Los Hervideros. Ci si arriva dopo aver percorso una stradina meravigliosa che costeggia il mare, un ambiente vulcanico davvero suggestivo. A El Golfo si trova anche il lago Verde (che non sono riuscito a fotografare decentemente): un piccolo stagno di acqua clamorosamente verde per la presenza di organismi vegetali che vi vivono in sospensione, dichiarato riserva naturale e al quale non è possibile avvicinarsi. El Golfo è un piccolo villaggio turistico a ridosso della spiaggia: 10 case, 12 ristoranti, un parco giochi, 5 bar e niente altro. Ad Aprile è quasi deserto. Ho provato a raccontare con le immagini la bellezza di questo mare difficile e, per certi versi, selvaggio. Ho esaperato, anche troppo, contrasti e colori per rendere al meglio l’atmosfera che si respirava in quel momento. Un esperimento.
La Telamon fu una nave da carico, costruita nel 1954 e arenata nel 1981 quando navigava battendo bandiera greca, nei pressi di Arrecife nell’isola di Lanzarote. […]Il 31 ottobre del 1981 mentre era in viaggio da San Pédro (Costa d’Avorio) con destinazione di Salonicco, trasportando un carico di tronchi d’albero, nei pressi dell’isola di Lanzarote, in seguito ad una tempesta, si aprivano diverse falle nello scafo imbarcando acqua. Alla nave venne negato il permesso d’ingresso nel porto di Arrecife dalle autorità spagnole che temevano potesse affondare da un momento all’altro e bloccando l’attività dell’intero porto. Fu così trainata da un peschereccio e fatta arenare nella baia vicino al villaggio de La Caletas tra Costa Teguise e Arrecife dove veniva abbandonata. Successivamente la nave si spezzò e il relitto venne definitivamente abbandonato. Con una parte del legname è stata realizzata una scultura eretta a Costa Teguise e inaugurata il 24 giugno 2009 che porta il nome di La hoguera de San Juan (falò).
Galeazza è qualcosa che per il mondo non significa nulla. Per gli imperiesi, ma forse dovrei dire onegliesi, è la conclusione di una storia. Dopo la Galeazza c’è il vuoto, è lo scoglio posto alla fine del mondo conosciuto. Perché qui finisce Imperia, è una linea di demarcazione fondamentale. La Galeazza è una spiaggia: difficile, dura, impegnativa, di sassi e scogli, ma romantica e personale. Perché solo i ciantafurche (i cacelotti sicuramente no, ma loro cosa possono saperne?) riescono ad amare questo piccolo tratto di costa e il suo simbolo: la Galeazza, l’enorme scoglio dal quale è obbligatorio tuffarsi per essere veri, vivi e uomini. Io adoro questo piccolo lembo di spiaggia cattiva, significa tantissimo per me: è dove andavo da bambino, è dove ho imparato a nuotare; è il tuffo rinfrescante dopo la corsa serale sull’incompiuta. Ma la meraviglia della Galeazza è il rumore delle onde che si infrangono sulle pietre, nel silenzio dell’alba. E’ un suono che può sembrare ostico, ma che in realtà, per chi sa ascoltare, è dolcissimo. E carico di emozioni, di vita.
[…] Anche la Galeazza è ciottoli, scogli, tranquillità, ma soprattutto ha un panorama unico visto dal mare. La spiaggia è dominata da una collina di macchia mediterranea e pini di Aleppo, punteggiata da qualche villa opulenta che non disturba, ma lascia immaginare un passato non lontano in cui una parte era coltivata a vigneto e le foche monache saltellavano goffamente sulla riva per divorare l’uva matura. In mare si alza la Galeazza, cinque metri di scoglio che pare una nave antica, da sempre tappa del rituale di formazione dei ragazzi locali e no: chi si tuffa dalla cima diventa automaticamente adulto.
E’ un fondale indistinto.
Nel colore plumbeo vedo levigatoun manto d’acque.
Schiarita da schiume biancastre
la luce s’inerpica sulle gole
e nei meandri più bui
che la roccia riveste,
accocolati e avvinghiati nel salso,
sassi e sassetti si radunanosu rade schiumose.
Lì restanofinchè una corrente invadenteli assale,li sposta.
Graffiate e scavateda miriadi di anni,
le rocce s’imbevono,si nutrono
vivendo nel giogo tortuoso einvadentedell’incessante flusso.
Questa foto risale ad una vacanza nell’estate del 2006 nel Sud della Francia. Siamo ad Arcachon, un bellissimo paese, decisamente turistico, sull’oceano Atlantico vicino a Bordeaux e alla celebre Dune du Pyla. Fortunatamente si vede che la foto arriva dal passato: la qualità non è altissima (EOS 20D con EF 18-55) e, soprattutto, il fotoritocco è quantomeno discutibile. Altri tempi, altri pensieri, altre idee: all’epoca ero molto più esasperato di oggi. Avevo già pubblicato un’altra foto di Arcachon, scattata pochi minuti dopo (cielo bellissimo quel giorno) e le metodologie di scatto e post-produzione sono decisamente simili. Però devo ammettere che queste scelte, anche se eccessive, non sono così malvagie; anche viste a quasi undici anni di distanza.