Fare questa foto (ma anche quelle di ieri) è stata un’impresa decisamente faticosa. Avevo individuato un’ansa del Tanaro molto interessante, a metà fra Clavesana e i celebri Calanchi. Ma fra il dire, il programmare e il fare, ci sono di mezzo boschi e rovi. Purtroppo non ho avuto modo di organizzarmi: il cielo perfetto è arrivato quando meno me lo aspettavo in un pomeriggio di metà luglio. Ma sono preparato e ho sempre con me tutto il necessario: macchinafoto, treppiede, filtri, zaino, copertura antipioggia e fantastici copriscarpe in gomma (assolutamente consigliati, mai più senza). Sotto la pioggia e nel fango sono riuscito, con un certa dose di fatica, a raggiungere la zona prescelta. Ho fotograto in 40 centimetri d’acqua con tempi decisamente lunghi: questa è 25 secondi, ma sono arrivato anche a 2 minuti di esposizione (con ND1000 e pola) giusto per sentirmi un po’ Michael Kenna (e nel frattempo mandavo posizione GPS e foto a casa in caso potessi risultare disperso). Il problema è stato tornare: ho sbagliato strada (ottimo senso dell’orientamento) e mi sono trovato dentro una foresta di rovi, completamente bagnato, con i pantaloni corti. Ho portato i segni dell’avventura per circa 2 settimane: e poi dicono che la fotografia non è pericolosa, ma d’altronde il pericolo è il mio mestiere.
Io sono nato qui, nel lontano ottobre del 1966. In questa casa sulla destra. E qui ho vissuto un periodo bellissimo della mia vita: non c’erano macchina all’epoca e si poteva uscire senza paura. Qui abitavano tre bambini: con Marco e Francesca ho passato intere giornate a giocare. La televisione non esisteva, internet era solo un pensiero lontano nella mente di alcuni visionari. E si scendeva in strada, con il pallone e la bicicletta. E si tornava a casa sempre sporchi di fango, ma felici. Non è cambiato molto, anzi, è rimasto tutto identico come all’inizio degli anni 70. Hanno solo costruito una grande panchina gialla pochi metri più in là; non so perché. Forse è meglio non chiedere, non indagare. Qualche giorno fa ho rivisto Francesca, è rimasta la stessa bambina allegra di sempre: ci siamo abbracciati come se non fossero passati quasi 50 anni da quei giorni ingenui e sorridenti. Vive a Cuneo con la sua famiglia, è felice. Io invece vivo a Torino, e sono rimasto la clamorosa testa di cazzo di sempre. I fantasmagorici anni 80 mi hanno segnato il cuore e l’anima. E’ solo quando torno a casa che ritrovo un minimo di lucidità: è l’aria triste di Borgata Palazzetto a Clavesana. Io sono nato qui.
Una storia
inventata, un momento di lucidità estrema. Un
gioco collegato ad una fotografia, una mia fotografia: un modo come un altro di immaginare la realtà, di immedesimarsi in situazioni non troppo lontane dalla vita quotidiana di ognuno di noi.