La fabbrica dei colori e del cancro

POSTED ON 2 Apr 2019 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial

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L’IPCA (acronimo di: Industria Piemontese dei Colori di Anilina) venne fondata a Ciriè, in provincia di Torino, nel 1922 dai fratelli Sereno e Alfredo Ghisotti, sopra quello che rimaneva d’un vecchio complesso industriale dell’800, dedito alla produzione di fiammiferi. (fonte AlbyPhoto) Questa fabbrica passerà alla storia come “La Fabbrica del Cancro“. Nel 1922 non esisteva ancora il concetto di sicurezza sul lavoro, così come le norme ambientali non erano nemmeno lontanamente concepibili. La fabbrica produceva pigmenti a base di ammine aromatiche, potenti cancerogeni vescicali, la cui pericolosità era stata descritta fin dal 1895 dal chirurgo tedesco Ludwig Rehn.

Nel 1956 la Camera del Lavoro di Torino descriveva la fabbrica in questo modo: “L’ambiente è altamente nocivo, i reparti di lavorazione sono in pessime condizioni e rendono estremamente gravose le condizione stesse del lavoro. I lavoratori vengono trasformati in autentiche maschere irriconoscibili. Sui loro volti si posa una pasta multicolore, vischiosa, con colori nauseabondi e, a lungo andare, la stessa epidermide assume disgustose colorazioni dove si aggiungono irritazioni esterne”.

Nel 1968 due operai, Benito Franza e Albino Stella, si licenziarono ed iniziarono ad indagare per conto proprio. Per qualche anno girarono tutti i cimiteri della zona, annotando i nomi dei compagni morti. Ne trovarono 134, e decisero che erano abbastanza. Dovevano sbrigarsi a fare denuncia: anche loro erano dei pissabrut, dei pisciarosso, come venivano chiamati i condannati dell’IPCA. La loro inchiesta fu alla base dell’apertura del processo, che riguardò 37 casi di morte avvenuta e 27 di grave malattia in corso. Tutti gli altri omicidi erano andati in prescrizione, o amnistiati. Il processo terminerà nel 1977 con una condanna a 6 anni di carcere per omicidio colposo ai titolari e dirigenti dell’azienda. Ulteriori indagini accertarono che le vittime tra gli ex dipendenti furono ben 168. In seguito alla condanna l’IPCA chiuse i battenti nell’agosto del 1982, lasciando in eredità solo inquinamento e morte. Per 650 milioni di Lire il sito venne acquistato dal comune di Ciriè, nel novembre 1996 con un finanziamento di circa 6 miliardi del Ministero dell’Interno vennero eliminati 5677 fusti (solventi, diluenti, residui di verniciatura, coloranti e reagenti), 4.660.220 kg di liquami tossici e bonificati 50 serbatoi e 13 vasche di decantazione. La bonifica terminò con pieno successo il 31 agosto 1998. Oggi la zona è completamente sicura e priva di agenti chimici pericolosi.

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“Me ne sono andato dall’IPCA senza rendermi conto che il mio destino era segnato. I primi disturbi si verificarono nel novembre del 1966, con forti dolori addominali e fitte al basso ventre. La mia situazione attuale è la seguente: ho moglie e due figli. Non posso più fumare e bere, ho sempre dolori e devo restare sempre in cura. Anche questo però mi servirà a poco perché prima o poi morirò anch’io di cancro. Ma almeno so di che cosa morirò, e non come tanti altri compagni, morti di cancro, e che risultano essere morti di collasso cardiaco o polmonite“.
“Sulle mie lenzuola e sul cuscino conservo ancora l’impronta del corpo di mio marito. Infatti, pur lavandosi e facendosi il bagno prima di coricarsi, la notte tutti quei colori che aveva in corpo uscivano, trapassavano il pigiama e le lenzuola rimanevano impregnate… Dormendogli accanto, sentivo un forte odore acido emanato dal suo respiro…”

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