Avevo già pubblicato un ritratto di Chiara molto simile a questo, però con gli occhi chiusi (ed è sempre un peccato) e in monocromatico. Mi sembra giusto chiudere il cerchio, a distanza di 18 mesi dallo scatto, con questa immagine che trovo decisamente molto attraente.
L’ospedale Marino Piemontese si trova a levante del territorio di Loano a 200 metri a nord della via Aurelia, in località Vignasse; si estende su circa 18 mila metri quadrati in cui si trovano il fabbricato principale, che ospitava l’ospedale, e alcuni edifici accessori, tra cui l’ex casa del custode e una villetta ristrutturata su due piani. La volumetria totale supera i 25.300 metri cubi. Attualmente l’immobile è di proprietà di ARTE, Agenzia Regionale Territoriale per l’Edilizia della provincia di Savona, che l’ha acquistato per 9 milioni di euro nel 2008 e che ha provato a venderlo all’asta negli anni scorsi senza risultati. Come tutte le strutture abbandonate di questo tipo non ha un futuro possibile, da anni si parla di recupero, di ripristino, di ristrutturazione, si susseguono le amministrazioni comunali che parlano parlano parlano, ma qualsiasi tentativo di rilancio cade nel vuoto (prevedibile). E’ l’ex ospedale è in stato di abbandono da quasi 40 anni. Nel frattempo non si contano le retate della polizia, i principi di incendio, l’occupazione di sbandati e senzatetto. La struttura è davvero enorme e questo è davvero il problema più grande, anche perché la posizione (a ridosso del mare) sarebbe appetibile per fini turistico/commerciali. All’interno è facile perdersi fra corridoi lunghissimi, stanze vuote, graffiti, scale. Dal punto di vista fotografico l’ho trovato bellissimo, una serie di giochi di luci ed ombre con quel senso importante di abbandono fondamentale in qualsiasi scatto urbex. Sono 57 foto, davvero tantissime, e molto simili fra di loro. Ma volevo documentare e aggiornare la memoria storica di questo luogo.
Hundertwasserhaus è una quartiere popolare di Vienna, un insieme di case a basso costo che vengono affittate dal comune a famiglie con difficoltà economiche favorendo i nuclei con velleità artistiche. Deve il nome a Friedensreich Hundertwasser, l’architetto e artista che ne ha curato la realizzazione nel 1986. E io dico, già hai un nome difficile e trova qualcosa di più semplice, no? Ha preferito complicarlo aggiunge il suffisso haus, in tedesco casa, per renderlo ancora più divertente. Il medico dell’architettura (così si è definito) ha creato, nonostante il nome, qualcosa di meraviglioso e turistico (suo malgrado credo, ma ormai è diventato una delle attrazioni più in della città). Ha deciso che serviva infondere allegria e gioia e la struttura è davvero bizzarra, non ci sono mai spigoli vivi, le linee sono morbide, le facciate multicolori, ricoperte in alcuni casi di ceramiche. Davvero particolare. Fotografare un’opera del genere è complicato, quindi ho deciso di dedicarmi semplicemente alla facciata principale, la più celebre, è scattare dal basso verso l’altro per ricordare il concetto di Hundertwasser secondo cui tutto ciò che punta verso il cielo appartiene all’uomo.
In ogni terrazza vi sono giardini pensili che servono a portare il verde in ogni abitazione. La creazione di questi ultimi, in particolare, è un chiaro riferimento ad uno dei concetti chiave dell’artista, secondo cui tutto ciò che si espande in orizzontale appartiene alla natura e tutto ciò che si innalza al cielo, all’uomo. Molti materiali utilizzati, come, ad esempio, le ceramiche delle decorazioni delle facciate, sono di recupero. Le case di Hundertwasser sono diventate una vera e propria attrazione turistica e attirano ogni anno migliaia di turisti tant’è che sono sorti negozietti, bar, chioschi e caffetterie nelle immediate vicinanze. Nella galleria di Hundertwasserhaus ci si può soffermare per assaporare un caffè (osservando il ruscello che scende dalla parete attraversando tutto il bancone) o gustare qualche specialità tipica viennese. Perfino i servizi igienici sono in stile, infatti fanno parte delle Toilet of modern art dove ceramiche decorative, fontane e colori sgargianti rendono allegro e piacevole anche questo ambiente.
Quando le porte della percezione si apriranno tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite.
– William Blake
Questa esplorazione è ormai datata in epoca pre-Covid (credo che in futuro utilizzeremo spesso questa definizione temporale). Avevo visto le foto scattate dal cielo da un noto pilota monregalese e spinto dalla curiosità mi ero lanciato all’interno: il cancello era spalancato e non è stato difficile entrare. Si tratta dell’ex centrale Enel di Mondovì, in via Cuneo, in disuso e abbandono da quando si è dato il via libera al mercato libero (scusate il gioco di parole). Dentro non è rimasto praticamente più nulla: bellissimo il bancone della reception e mi sono immaginato le lunghe code di clienti nervosi; una situazione che per il sottoscritto fa tanto secolo scorso. Il resto sta crollando a pezzi, l’intonaco si stacca dalle pareti per l’umidità, le finestre sono aperte; ma non ci sono graffiti e i bagni sono stranamente ancora intatti. E’ passato oltre un anno, ma credo che la situazione sia solo peggiorata. E non è destinata a migliorare. Tutte le foto sono scattate con il 14mm: non mi ricordo il mio personale periodo storico/fotografico, ma probabilmente ero affetto da qualche strana malattia grandangolare. :-)
In pratica, la struttura, esclusa la parte tecnica tuttora di proprietà di Enel Distribuzione, sarebbe stata venduta a un fondo di investimento statunitense, che ha acquistato tutte le centrali dismesse in Italia da Telecom ed Enel.
La Mira Lanza è stata una delle aziende italiane più famose: questo perché negli anni d’oro del Carosello fu protagonista di numerosi spot pubblicitari con personaggi diventati icone come Calimero e la bella olandesina. Ava come lava, con la voce del piccolo pulcino nero, ancora oggi è uno degli slogan più conosciuti nel nostro paese. La storia di questa azienda attraversa quasi 100 anni della vita italiana, inizia nel 1924 quando due antiche aziende, la veneziana Fabbrica di candele di Mira, produttrice di candele, e la torinese Reale Manifattura di saponi e candele steariche fratelli Lanza, produttrice di saponi, si fondono insieme, dando così vita alla Mira Lanza società anonima. La fabbrica conta ben 5 grossi stabilimenti sparsi per l’Italia, sopravvive alla seconda guerra mondiale nonostante il ridotto consumo dei suoi prodotti, nel 1948 nella fabbrica di Mira sono costruite le prime unità di solfonazione e le prime 2 torri di spruzzature, con le quali veniva realizzato il primo detersivo in polvere della Mira Lanza, noto come MIRAL e nel 1953 viene lanciato sul mercato AVA con la sua formula al perborato stabilizzato che rendeva il pulcino Calimero così pulito. Nel 1984, dopo varie vicissitudini, la Mira Lanza viene ceduta alla ditta chimica Montedison e inizia il declino che, tra speculazioni finanziarie e meccanismi che portano alle smembramento delle fabbriche del gruppo, si concluderà nel 2001 con la chiusura di tutti gli stabilimenti e la sparizione del marchio. Lo stabilimento che ho visitato e, ovviamente, fotografato, è quello di Genova: copre una vasta area di circa 20.000 metri quadrati in una delle zone industriali e periferiche della città. Come sempre in questi casi si parla di recupero, ma al momento tutto rimane nel vuoto e nel silenzio delle varie amministrazioni comunali. Calimero non sarebbe contento.
So believe what I tell you
It’s the only way to fight in the end
Just believe what I tell you
You shouldn’t have to pretend
So don’t let those empty people
Try and interfere with your mind
Go and live your life
And leave them all behind
– Black Sabbath
Ed è malinconia,
ti segue per la via,
ti lascia dopo un’ora,
ma tu sai che torna ancora.
– Riccardo Fogli
La proposta di costruire un manicomio viene esposta dall’Amministrazione provinciale di Genova nel 1892. Viene individuata un’area di 70.000mq a Quarto dei mille, vince il concorso l’ingegnere Vincenzo Canetti, e l’appalto viene affidato alla ditta milanese Francesco Minorini. I lavori procedono spediti è gia nel 1895 viene completata parte del progetto, così 377 pazienti sono accolti nel nuovo manicomio: essi vengono trasferiti all’alba con mezzi appositamente noleggiati, al fine di evitare “l’inopportunità della folla, che certamente si sarebbe agglomerata lungo le vie ad osservare il convoglio dei pazzi”. Il progetto originale prevedeva che la struttura sarebbe potuta arrivare ad ospitare un massimo di 700 malati, ricoverati in cinque sezioni diverse: tranquilli, epilettici e mesti, semi-agitati, agitati ed infermi. Malgrado le dimensioni del complesso, dopo solamente un anno è palese la mancanza di posti letto: nel 1904 i pazienti residenti a Quarto passano da 973 a 1010, tra cui alcuni bambini sistemati nel reparto “semiagitati” ed altre bambine alloggiate senza criterio nei vari reparti. La mortalità tra i ricoverati raggiunge il 10% a causa della tubercolosi e risulta evidente la necessità di una nuova struttura. A causa del sovraffollamento, le stanze da bagno sono indecenti, “i dormitori sono occupati da un numero di letti di gran lunga superiore alla capacità consentita” e in alcuni casi non è possibile il passaggio di una persona tra un letto e l’altro; inoltre nelle stanze di isolamento sono collocati fino a quattro letti. Nel 1924 la Deputazione provinciale attua alcune misure di miglioramento e le condizioni del manicomio di Quarto iniziano a cambiare. La Provincia, nel 1927, unifica sotto un unico Dipartimento Sanitario la struttura di Quarto e di Cogoleto. Nella prima dispone l’accettazione ed i malati guaribili, nella seconda i laboratori ed i malati cronici inguaribili. Il termine “manicomio” viene sostituito dalla denominazione “ospedale psichiatrico”. Durante la Seconda Guerra Mondiale, questi edifici sono stati occupati dai militari italo-tedeschi ed i pazienti vengono trasferiti tutti nella seconda struttura. Concluso il conflitto mondiale, l’ospedale si ripopola progressivamente, il primo intervento nel dopoguerra risale al 1963, quando a causa dell’aumento del tasso di mortalità, viene creata una Commissione speciale al fine di valutare le condizioni della struttura. Nello stesso anno nasce la “psicoterapia” e si definisce un piano di ristrutturazione per l’intero complesso. Nel 1969 viene aggiunto finalmente un nuovo padiglione per colmare le carenze di spazio, dal 1978 però, grazie alla legge Basaglia, il manicomio viene progressivamente dismesso sino alla definitiva chiusura del 1997. Il resto è storia, da diversi anni si cerca un recupero del manicomio di Quarto: purtroppo senza risultati.
Villa Lupi è un’esplorazione di oltre un anno fa. E mi piace presentarla con la quella che ho definito, utilizzando il francese, la salle de bain: perché è la stanza più particolare dell’intera villa che si divide in due anime distinte e contrastanti: al piano terra soffitti decorati, camini, storia, al piano superiore (che non ho fotografato) una casa moderna e vissuta, forse addirittura posseduta da ospiti illeciti. Villa Lupi deve il suo nome alla discendenza del Cavalier Edoardo Lupi di Moirano, proprietario della villa nella prima metà dell’800, dopo il nobile Paolo Antonio Teppa e i Conti Pullini di Sant’ Antonino. L’edificio probabilmente risale al ‘700, la cappella, dedicata a Sant’ Anna e di stile neoclassico, risulta infatti già esistente nel 1769. Dopo i Lupi di Moirano subentrarono i Conti Cavalli d’Olivola che furono proprietari della villa fino alla seconda metà del ‘900. Nel 1971 a Villa Lupi furono girati gli esterni dello sceneggiato televisivo “Il caso Lafarge”, un giallo che vedeva come protagonista Paola Pitagora. Oggi Villa Lupi è sigillata e ben controllata, che possa ritornare al suo antico splendore?
D.O.M
INDULGENZA PLENARIA QUOTIDIANA
PERPETUA PER OGNI MESSA CHE SI
CELEBRERA’ IN QUESTA CAPPELLA
IN SUFFRAGIO DELL’ANIMA DEL SIG. PAOLO ANTO TEPPA
NOBILE TORINESE E DI TUTTI I SUOI
CONSANGUINEI ED AFFINI CONCESSA DALLA
…DEL FELICE REGNANTE CLEM. XIV
DELLI VI GIUGNO MDCCLXIX