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Racconigi a sorpresa
POSTED ON 20 Nov 2020 IN Reportage

Racconigi Silver /01

Queste foto sono un po’ strane, sono una specie di anticipazione bizzarra. Le ho scattate al manicomio di Racconigi il giorno della maratona fotografica, correva l’anno 2019; è raro trovare un mio scatto urbex in bianco e nero, ritengo che il genere richieda il colore (lascio le eccezioni al ritratto), ma per una volta ho deciso di fare uno strappo alla regola. Le ho presentate in concorso (non tutte in realtà), quasi per gioco, per provocazione: anziché esaltare le bellezze ho preferito puntare il dito sulla piaga. Risultati scarsi ovviamente, ma questo anche per colpa della Canon EOS 77D che quel giorno sostituiva l’ammiraglia in riparazione post-trauma. Nelle prossime ore tornerò in modo ampio sull’argomento Fabbrica delle Idee, ergo possiamo tranquillamente definire queste immagini come una sorta di prologo.

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Villa dello Stilista
POSTED ON 17 Nov 2020 IN Reportage

Villa dello Stilista /41

Un enorme cespuglio di ortensie azzurre nasconde la porta di accesso di questa villa. Dall’esterno sembra un castello, con la sua torre che si erge imperiosa e domina la valle. Dentro è meravigliosa e nasconde la storia di una vita, probabilmente una vita di stile, una vita nel campo della moda. Guardando le foto mi ero innamorato della porta a vetri dell’entrata e di un cuscino rotondo molto particolare, e appena varcata la soglia della villa sono subito andato alla ricerca: non sono rimasto deluso. Per l’occasione ho usato il drone per le foto dell’esterno ed è stata la mia prima volta. Non è un tipo di fotografia che mi fa impazzire, ma credo possa essere un’aggiunta interessante, e utile, se usata con parsimonia. Quel giorno ero con Lorena e vi lascio alle sue parole per una descrizione più precisa e dettagliata.

Questa dimora, conosciuta come la villa dello stilista nel mondo urbex, nonostante sia stata rovinata molto dai vandali negli anni ci ha lasciato a bocca aperta per la quantità di oggetti e ricordi che contiene ancora tra le sue stanze. Non abbiamo trovato notizie sulla sua storia e sul motivo dell’abbandono purtroppo, sicuramente si capisce che i proprietari erano francesi, appassionati di viaggi e probabilmente lavoravano nella moda o comunque nella sartoria perchè bottoni, stoffe e manichini sono sparsi dappertutto.

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Ex Caserma Pietro Crespi
POSTED ON 14 Nov 2020 IN Reportage

Caserma Crespi /29

Non sono quello che può definirsi un patriota e nelle mie vene non scorre certo sangue nazionalista. Però se penso a Pietro Crespi, morto a 21 anni nel 1918 durante la prima guerra mondiale, capisco quali sentimenti possano averlo spinto a mettere in gioco la propria vita per difendere il suo paese oltre cento anni fa, era il 27 ottobre. A Imperia, la mia città, dal 1958 c’è una caserma dedicata al valoroso sottotenente, e pensare che la sua memoria sia infangata nell’abbandono e nella becera discussione politica lo trovo davvero avvilente. Eppure è proprio quello che succede: la caserma che porta il suo nome è ormai in stato di totale disagio, preda dei senzatetto, della distruzione e dell’incuria. E’ completamente vuota, ma dal punto di vista fotografico è splendida: tantissime finestre, stanze vuote che si succedono una dopo l’altra con continui cambi di prospettiva e dimensione. Spero davvero che la querelle politica abbia una fine e che la memoria di Pietro Crespi venga onorata come merita, al più presto.

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«In un momento particolarmente delicato e difficile, in cui l’esempio personale aveva la più grande influenza, alla testa della propria sezione mitragliatrici, sotto l’intenso bombardamento nemico, risolutamente accorreva per proteggere il fianco di una colonna di attacco. Incontrata aspra resistenza per parte di nuclei avversari provvisti di mitragliatrici, impegnava viva lotta, prima di potersi mettere in posizione, facendo fuoco egli stesso con un’arma sostenuta da un servente. Raggiunta infine la linea da occupare, portava le proprie armi allo scoperto, e dando mirabile prova di coraggio e di fermezza continuava ancora personalmente a far fuoco neutralizzando ogni tentativo dì avanzata nemica, finché, colpito a morte, cadeva gloriosamente sulla propria arma dopo aver gridato: “Forza, mitraglieri, evviva la vittoria !“.»
— Monte Pertica (Grappa), 27 ottobre 1918.

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Yellow and white
POSTED ON 13 Nov 2020 IN Reportage

Yellow and white

Quando le porte della percezione si apriranno tutte le cose appariranno come realmente sono: infinite.
– William Blake

Non c’è più luce
POSTED ON 12 Nov 2020 IN Reportage

Ex Enel /01

Questa esplorazione è ormai datata in epoca pre-Covid (credo che in futuro utilizzeremo spesso questa definizione temporale). Avevo visto le foto scattate dal cielo da un noto pilota monregalese e spinto dalla curiosità mi ero lanciato all’interno: il cancello era spalancato e non è stato difficile entrare. Si tratta dell’ex centrale Enel di Mondovì, in via Cuneo, in disuso e abbandono da quando si è dato il via libera al mercato libero (scusate il gioco di parole). Dentro non è rimasto praticamente più nulla: bellissimo il bancone della reception e mi sono immaginato le lunghe code di clienti nervosi; una situazione che per il sottoscritto fa tanto secolo scorso. Il resto sta crollando a pezzi, l’intonaco si stacca dalle pareti per l’umidità, le finestre sono aperte; ma non ci sono graffiti e i bagni sono stranamente ancora intatti. E’ passato oltre un anno, ma credo che la situazione sia solo peggiorata. E non è destinata a migliorare. Tutte le foto sono scattate con il 14mm: non mi ricordo il mio personale periodo storico/fotografico, ma probabilmente ero affetto da qualche strana malattia grandangolare. :-)

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In pratica, la struttura, esclusa la parte tecnica tuttora di proprietà di Enel Distribuzione, sarebbe stata venduta a un fondo di investimento statunitense, che ha acquistato tutte le centrali dismesse in Italia da Telecom ed Enel.

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The old school
POSTED ON 11 Nov 2020 IN Reportage

The old school /02

Entrare in un istituto scolastico abbandonato e fatiscente è quasi sempre un’esperienza straniante. Perché è come immaginarsi di tornare a scuola, e senti le voci degli studenti e cerchi di capire la storia, come funzionavano le aule, immagini il brusio durante il cambio dell’ora, le interrogazioni. Si torna un po’ bambini e un po’ adolescenti, anche se il ricordo tende a sbiadirsi ogni giorno che passa e magari ti rivedi in tua figlia che da pochi giorni ha intrapreso il suo percorso scolastico. E poi entri nella palestra con l’intonaco che si stacca dalle pareti, il canestro e un soffitto meraviglioso e non comprendi come possa essere abbandonata una meraviglia del genere: perché l’ora di educazione fisica è sempre un momento di svago e ti ricordi le partite a squadre miste con quel pallone a spicchi che entrava raramente nel canestro. Sinceramente non sono riuscito a comprendere molto di questa struttura immersa nel centro storico, desolatamente vuota e con le porte spalancate. Forse abbandonata, forse in cerca di un futuro migliore, magari con la voglia di rendersi ancora utile. Quello che so è che il tutto è decisamente triste e tanto malinconico. Is this our future?

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Secondo il Codacons sono migliaia le strutture scolastiche italiane a tutt’oggi fatiscenti e potenzialmente pericolose per la salute di studenti e personale scolastico. Il 46,8% degli edifici scolastici presenti sul territorio non possiede il certificato di collaudo statico e il 53,8% non ha quello di agibilità o abitabilità, numeri che preoccupano ancor di più se consideriamo che nel 2018-2019 ogni tre giorni si sono registrati episodi di distacchi di intonaco e crolli all’interno di edifici scolastici.

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La magia dell’oro e dello sfarzo
POSTED ON 8 Nov 2020 IN Reportage

Palazzo d'oro /40

Ci sono momenti e luoghi che sono incredibili e magici; quello che viene definito, nel mondo urbex italiano, il Palazzo d’oro è sicuramente un luogo magico: stanze antiche, con affreschi, pareti dorate, sedie e poltrone, un pianoforte, tavoli, mobili e letti bellissimi, ricordi di una vita intensa e potente, storie di un passato che è destinato a terminare nell’oblio. Un passato probabilmente anche glorioso che avrebbe meritato un ricordo migliore e più dolce; ma questi sono solo i miei pensieri, le mie elucubrazioni mentali dopo una manciata di minuti, pochissimi se paragonati a chi fra queste pareti ha vissuto una vita intera. Siamo entrati alle prime luci dell’alba, avvolti nella nebbia: un silenzio incredibile, un’attenzione meticolosa a non rovinare l’atmosfera e ad infrangere il tempo. Perché il tempo si è fermato e sembrava essere rispettoso delle memorie che piano piano spariscono. E’ stata una delle mie esplorazioni più intense: per il luogo incredibilmente emozionante e per il gruppo di amici che mi ha accompagnato, senza far rumore. Spero che le foto, e sono addirittura 47, riescano a rendere, almeno in parte, l’idea della magia.

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Ehi tu, Divina!
POSTED ON 6 Nov 2020 IN Reportage

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I più giovani la ricordano ancora come Arena, altri come Galaxy Pagoda, il nome sull’insegna è rimasto Divina. Costruita nel 1985 con una capienza di 3.200 persone è stata a lungo la discoteca più grande d’Europa e fino al 1993 ha ospitato centinaia di concerti e spettacoli con il meglio dei cantanti dell’epoca (fra gli altri Zucchero, Anna Oxa, Venditti, Vecchioni, Nomadi). Dopo diversi tentativi ha chiuso i battenti agli inizi del secolo e ormai giace triste e abbandonata sulla strada che da Cuneo porta a Caraglio. Dentro è terribilmente buia, nel tempo è stata vandalizzata, ma comunque mantiene un aspetto altezzoso come di chi ha visto il mondo cambiare dall’alto di un piedistallo: chissà quante storie potrebbero raccontare queste pareti. Non voglio nemmeno pensarci, peccato che un pezzo di storia della Granda sia ridotto in queste condizioni, un corpo morto abbandonato a se stesso. Chiudo con un gentile invito: Tobsy, o come diavolo ti chiami, se non sei capace la bomboletta ficcatela nel culo!

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Su quei divanetti ho visto cose che nessun umano avrebbe dovuto vedere.
– Valentina Morra

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The circle
POSTED ON 5 Nov 2020 IN Reportage

The Circle

Quando si fotografa una discoteca abbandonata (si, ho anche questa perversione) il problema maggiore è la mancanza di luce. Si, perché questi templi del divertimento sono essenzialmente luoghi notturni: la presenza di finestre e altre fonti di illuminazione naturale non è assolutamente prevista. Quindi è necessario armarsi di pazienza, treppiede e tempi lunghi di esposizione: si può mitigare l’attesa alzando leggermente gli ISO, ma ovviamente le difficoltà permangono. Nel caso del piano interrato della discoteca Divina di Caraglio il problema era di difficile risoluzione: buio assoluto (tarabu come dicono a Cuneo). Ma io volevo a tutti costi fotografare la pista da ballo e mi sono armato di fantasia e luce artificiale: ho lasciato aperto l’otturatore per 48 secondi e in questo lasso di tempo ho percorso due volte la pista in senso antiorario illuminando con una torcia a fascio concentrico il cerchio viola appeso al soffitto. Ne è uscita una interessante interpretazione di light painting che ha ridato vita e luce alle tenebre dell’abbandono. In senso letterale (ma anche poetico).

Orfanotrofio di San Giuseppe
POSTED ON 4 Nov 2020 IN Reportage

Orfanotrofio San Giuseppe /16

Un orfanotrofio è una struttura di accoglienza, pubblica o privata, dove sono accolti ed educati i bambini orfani ed i minori senza famiglia. L’etimologia del termine deriva dal greco antico orphanotrophêion, composto di orphanós (orfano) e tréphein (allevare). Si distingue dal brefotrofio, che è invece l’istituto che accoglie e alleva i neonati illegittimi abbandonati o in pericolo di abbandono. Il primo orfanotrofio d’Europa fu istituito a Napoli il 29 maggio 1343 per volere della Regina Sancia d’Aragona e del vescovo Giovanni Orsini. Nella seconda metà dell’Ottocento il primo censimento delle Opere Pie nel Regno d’Italia redatto da Pietro Castiglioni enumera 112 brefotrofi (o “ospizi degli esposti”) e 341 orfanotrofi. La legge 28 marzo 2001, n. 149 stabilì, entro la data del 31 dicembre 2006, la chiusura degli orfanotrofi, trasferendo i minori in case-famiglia, comunità di accoglienza e dove possibile, presso famiglie affidatarie o adottive, ricorrendo all’adozione.

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Non sono mai stata felice in quegli anni in orfanotrofio. Avevo solo nove anni, ma quello che ho provato è indimenticabile. Il mondo intorno a me si era sbriciolato. Quando una ragazzina si sente sola e persa con nessuno che la voglia è qualcosa che non potrà mai dimenticare fino all’ultimo giorno di vita.
– Marilyn Monroe

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La fabbrica dei detersivi
POSTED ON 2 Nov 2020 IN Reportage

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La Mira Lanza è stata una delle aziende italiane più famose: questo perché negli anni d’oro del Carosello fu protagonista di numerosi spot pubblicitari con personaggi diventati icone come Calimero e la bella olandesina. Ava come lava, con la voce del piccolo pulcino nero, ancora oggi è uno degli slogan più conosciuti nel nostro paese. La storia di questa azienda attraversa quasi 100 anni della vita italiana, inizia nel 1924 quando due antiche aziende, la veneziana Fabbrica di candele di Mira, produttrice di candele, e la torinese Reale Manifattura di saponi e candele steariche fratelli Lanza, produttrice di saponi, si fondono insieme, dando così vita alla Mira Lanza società anonima. La fabbrica conta ben 5 grossi stabilimenti sparsi per l’Italia, sopravvive alla seconda guerra mondiale nonostante il ridotto consumo dei suoi prodotti, nel 1948 nella fabbrica di Mira sono costruite le prime unità di solfonazione e le prime 2 torri di spruzzature, con le quali veniva realizzato il primo detersivo in polvere della Mira Lanza, noto come MIRAL e nel 1953 viene lanciato sul mercato AVA con la sua formula al perborato stabilizzato che rendeva il pulcino Calimero così pulito. Nel 1984, dopo varie vicissitudini, la Mira Lanza viene ceduta alla ditta chimica Montedison e inizia il declino che, tra speculazioni finanziarie e meccanismi che portano alle smembramento delle fabbriche del gruppo, si concluderà nel 2001 con la chiusura di tutti gli stabilimenti e la sparizione del marchio. Lo stabilimento che ho visitato e, ovviamente, fotografato, è quello di Genova: copre una vasta area di circa 20.000 metri quadrati in una delle zone industriali e periferiche della città. Come sempre in questi casi si parla di recupero, ma al momento tutto rimane nel vuoto e nel silenzio delle varie amministrazioni comunali. Calimero non sarebbe contento.

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Il cielo all’improvviso
POSTED ON 30 Ott 2020 IN Reportage

Il cielo all'improvviso /26

Villa La Concezione, in seguito Giusiana dal nome dei nuovi proprietari, è un meraviglioso palazzo del ‘700. Fu costruita da Gio Andrea Ambrosini, commerciante di granaglie di Torino, che ereditò da sua madre il terreno e la cascina: acquistò due case vicino e nel 1698 iniziò la costruzione della villa e dell’annessa cappella dedicata a San Michele. Nel 1847 divenne proprietario il conte Luigi Lajolo di Cossano, ma nel 1890 i beni della famiglia andarono all’incanto e furono acquistati da Sebastiano e Michelangelo Giusiana. Durante La prima Guerra Mondiale la villa ospitò i Padri Maristi di Carmagnola che coltivarono nei terreni erbe aromatiche per distillare i loro liquori. Credo che le foto riescano perfettamente a rendere giustizia alla bellezza di questa storica e splendida dimora: la stanza centrale è meravigliosa e a distanza di secoli, nonostante le mille vicissitudini, mantiene intatto il suo incredibile fascino. Sarei rimasto più tempo ad ammirare il soffitto, inginocchiato al centro, sul pavimento: davvero la perfetta realizzazione del cielo in una stanza, come cantavano Mina e Gino Paoli. Ma sappiamo che il tempo, in quanto tale, è tiranno. Rimangono le foto e il ricordo.

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Sulla nuda terra
POSTED ON 28 Ott 2020 IN Reportage

Sulla nuda terra /06

Fra le colline del Canavese, precisamente a Salerano, si erge questa mastodontica villa abbandonata da ormai 25 anni: 21 camere da letto, 10 bagni, biblioteca, cappella privata, una scalinata di marmo che lascia senza fiato. La villa venne eretta come elegante residenza estiva da un famoso marchese agli inizi del secolo scorso. Fu abitata fino al 1995 quando, in seguito alla morte dell’ultima discendente, la contessa Bianca, la residenza venne messa sul mercato più volte, cambiando altrettanti proprietari. Negli ultimi anni si sono succeduti diversi tentativi di ristrutturazione, tutti terminati in bolle di sapone. Dagli abitanti della zona viene definita la Villa dei Fantasmi: lamenti strazianti, flebili melodie di pianoforte e ombre lungo i corridoi deserti infestano Villa Pallavicino (questo il vero nome). La leggenda racconta che sarebbe ancora oggi la triste dimora dell’anima inquieta di una bimba schizofrenica, la cui morte è avvolta nel mistero, ma che pare sia stata uccisa dalla madre nella stanza dalle pareti azzurre al secondo piano. Ovviamente, noi schifosi cinici razionalisti, non crediamo a queste favole inventate dal popolo; noi chiniamo la fronte al Massimo Fattor e ci limitiamo a fotografare, documentare, raccontare. Meglio se con un certo raziocinio ispirato dall’arte. Almeno io ci provo.

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Il paradiso dei bambini
POSTED ON 27 Ott 2020 IN Reportage

Red Cross #12

Agli inizi del secolo scorso la zona veniva definita il paradiso dei bambini. Siamo sul lago maggiore, al confine fra Piemonte e Lombardia: qui infatti, grazie al clima temperato, numerosissime colonie sorsero tra i monti per ospitare i bambini che, accompagnati dai genitori, venivano in questi luoghi a trascorrere le vacanze. Nel tempo si è persa la tradizione della colonia estiva: alcuni edifici sono stati convertiti, altri sono caduti in disgrazia, abbandonati e inghiottiti dalla vegetazione. Quello che viene definito Red Cross (non ho capito per quale motivo, ma nel mondo urbex il primo che arriva decide il nome) fa parte di questa seconda categoria: dentro è rimasto quasi niente, solo poche tracce del passato che fu. Al centro dello stabile, raggiungibile facilmente da qualsiasi direzione, c’è ancora la cappella. E’ un classico di queste strutture a forte tradizione cattolica: è necessario istruire soprattutto lo spirito, Dio vuole così. Poi è tutto un susseguirsi di stanze da letto, quasi esclusivamente camerate per i piccoli ospiti, aule per lo studio, la cucina e, ovviamente, bagni. L’idea è più quella di una prigione: lo spazio per il divertimento è davvero ridotto, forse qualche gioco all’esterno se il clima lo permette. Le giornate di pioggia dovevano essere una tragedia. Una frase scritta sul muro di una della camerate mi ha colpito molto: Mangia, Caga e Dormi. E’ facile che il nostro writer abbia dimenticato prega, ma cambia poco: rende perfettamente l’idea della situazione delle colonie estive del secolo scorso.

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Nella tana del bianconiglio
POSTED ON 25 Ott 2020 IN Reportage

Bianconiglio /13

Nel mondo urbex esiste una grande verità: tutti gli esploratori hanno il desiderio di essere i primi. I primi a esplorare, i primi a mostrare le foto; per un discorso di prestigio personale e per uno discorso di scambio figurine: perchè una location nuova è sempre merce importante e ottimamente spendibile sul mercato. Io invece no. Io non voglio mai essere il primo, per una serie di motivi essenzialmente legati alla fotografia. C’è anche una questione di paura dell’ignoto, ma in realtà ho notato che passa in secondo piano e non sono poi così fifone. Il punto è che io voglio visualizzare il posto, voglio immaginarlo, mi piace conoscere cosa e come fotografare: questo talvolta mi porta a lavorare poco di fantasia, e può essere un problema, ma d’altrocanto è un rischio che posso correre se paragonato all’emozione che provo quando mi appare davanti agli occhi un momento urbex che ho visto e immaginato decine di volte. E la tana del bianconiglio (che prende il nome da un dipinto sulla parete della sala principale) fa parte di questa categoria di visioni: entrare nella camera da letto con il passeggino, dopo averla vista decine di volte in fotografia, mi ha emozionato e lasciato senza parole. E’ un po’ brutto da dire, ma sono le stesse sensazioni che ho provato, da bambino, quando ho visto per la prima volta la Torre di Pisa dal vivo. Sarà l’età che avanza, ma divento giorno dopo giorno più suggestionabile.

Colgo l’occasione per ringraziare il padrone di casa e il custode per la disponibilità che hanno dimostrato nei nostri confronti permettendoci la visita della villa.

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[…]
infranti distrutti
distratti da troppo
e stretti in una
morsa letale
che non dà tempo
al Bianconiglio
che è sempre in
ritardo perenne
come le mie parole
scritte in una storia
che non è una favola.
– Michele Tropiano

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Nella tana del bianconiglio [Cover]
POSTED ON 25 Ott 2020 IN Reportage

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La meravigliosa Villa Zanelli
POSTED ON 22 Ott 2020 IN Reportage

Villa Zanelli #28

Villa Zanelli è un luogo fantastico, meraviglioso, incantevole. E’ davvero la magia, in riva al mare. Quando la si osserva da lontano non si può che rimanere estasiati, è il simbolo della bellezza architettonica: uno dei più significativi capolavori di stile Liberty in Italia.

Edificata nel 1907 dal capitano di lungo corso Nicolò Zanelli, situata in un vasto giardino in comunicazione col mare, fino al 1933 appartenne alla famiglia dei Zanelli, e poi venduta al comune di Milano che la trasformò in campeggio e colonia internazionale. Durante le fasi della seconda guerra mondiale venne adibita a campo ospedaliero (sono ancora visibili le tracce delle croci rosse sulle pareti esterne). Dal 1967 diventa, grazie alla regione, struttura utilizzata dall’USL per il trattamento dei cardiopatici, ma nel 1998 il crollo di una parte dell’edificio impone la chiusura dell’attività ospedaliera per ragioni di sicurezza, rimanendo in attesa di un restauro. Grazie ad un’analisi degli elementi stilistici si afferma che la villa è stata progettata da Gottardo Gussoni e Pietro Fenoglio, uno dei più importanti architetti dello stile Liberty italiano.

E’ proprietà della regione Liguria e versa in stato di abbandono da oltre 20 anni, precisamente dal 1998 quando crollò una parte del tetto (per colpa dell’incuria). Si parla di ripristino e messa in sicurezza da tempo, ma la situazione rimane indecente. A quando il RESTAURO di Villa Zanelli?

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La casa della Selva Oscura
POSTED ON 18 Ott 2020 IN Reportage

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Ci siamo persi nella selva, ci siamo allontanati troppo, sono rimasti qui abbandonati i nostri ricordi: il mio libro sul tavolo, i tuoi fiori all’ingresso. Ma ne sono certa tornerà la luce e ci ritroveremo seduti qui sul nostro divano ad amarci più di prima…
– Lorena Durante

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Il manicomio vicino al mare
POSTED ON 17 Ott 2020 IN Reportage

Il manicomio vicino al mare #29

La proposta di costruire un manicomio viene esposta dall’Amministrazione provinciale di Genova nel 1892. Viene individuata un’area di 70.000mq a Quarto dei mille, vince il concorso l’ingegnere Vincenzo Canetti, e l’appalto viene affidato alla ditta milanese Francesco Minorini. I lavori procedono spediti è gia nel 1895 viene completata parte del progetto, così 377 pazienti sono accolti nel nuovo manicomio: essi vengono trasferiti all’alba con mezzi appositamente noleggiati, al fine di evitare “l’inopportunità della folla, che certamente si sarebbe agglomerata lungo le vie ad osservare il convoglio dei pazzi”. Il progetto originale prevedeva che la struttura sarebbe potuta arrivare ad ospitare un massimo di 700 malati, ricoverati in cinque sezioni diverse: tranquilli, epilettici e mesti, semi-agitati, agitati ed infermi. Malgrado le dimensioni del complesso, dopo solamente un anno è palese la mancanza di posti letto: nel 1904 i pazienti residenti a Quarto passano da 973 a 1010, tra cui alcuni bambini sistemati nel reparto “semiagitati” ed altre bambine alloggiate senza criterio nei vari reparti. La mortalità tra i ricoverati raggiunge il 10% a causa della tubercolosi e risulta evidente la necessità di una nuova struttura. A causa del sovraffollamento, le stanze da bagno sono indecenti, “i dormitori sono occupati da un numero di letti di gran lunga superiore alla capacità consentita” e in alcuni casi non è possibile il passaggio di una persona tra un letto e l’altro; inoltre nelle stanze di isolamento sono collocati fino a quattro letti. Nel 1924 la Deputazione provinciale attua alcune misure di miglioramento e le condizioni del manicomio di Quarto iniziano a cambiare. La Provincia, nel 1927, unifica sotto un unico Dipartimento Sanitario la struttura di Quarto e di Cogoleto. Nella prima dispone l’accettazione ed i malati guaribili, nella seconda i laboratori ed i malati cronici inguaribili. Il termine “manicomio” viene sostituito dalla denominazione “ospedale psichiatrico”. Durante la Seconda Guerra Mondiale, questi edifici sono stati occupati dai militari italo-tedeschi ed i pazienti vengono trasferiti tutti nella seconda struttura. Concluso il conflitto mondiale, l’ospedale si ripopola progressivamente, il primo intervento nel dopoguerra risale al 1963, quando a causa dell’aumento del tasso di mortalità, viene creata una Commissione speciale al fine di valutare le condizioni della struttura. Nello stesso anno nasce la “psicoterapia” e si definisce un piano di ristrutturazione per l’intero complesso. Nel 1969 viene aggiunto finalmente un nuovo padiglione per colmare le carenze di spazio, dal 1978 però, grazie alla legge Basaglia, il manicomio viene progressivamente dismesso sino alla definitiva chiusura del 1997. Il resto è storia, da diversi anni si cerca un recupero del manicomio di Quarto: purtroppo senza risultati.

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…ma spero non mi ascolti…
POSTED ON 15 Ott 2020 IN Details, Reportage

Villa Lupi #08

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