Ispirato dalle parole e dalle foto di Lorena ho deciso di partire alla volta di Chiusa Pesio per immergermi per qualche ora nella natura autunnale. Il Pilone dell’Olocco, il mio punto di partenza, dista circa 15 minuti da casa mia e quindi posso dire che si tratta di un’escursione dietro casa: sto parlando del giro delle Borgate, una camminata relativamente semplice che attraverso un percorso ad anello in mezzo ai castagni permette di visitare Borgata Faggin, Borgata Nonetta, Biroe, Castello, Mauri, Romanin, Barril per arrivare alla bellissima Borgata Baudinet (recentemente ristrutturata) dalla quale si può ammirare una spettacolare vista della Bisalta. I colori dell’autunno (ci sono stato a fine ottobre) sono meravigliosi e si cammina davvero su un tappeto di foglie colorate. Il percorso dovrebbe essere di poco superiore ai 6 chilometri, ma il mio GPS è arrivato a segnarne più del doppio: è che ho una passione smisurata per le strade complicate, le guide tendono a dimenticare le deviazioni e io riesco sempre a prendere quella sbagliata. Anche questa è una dote. Ho fotografato esclusivamente con il 15-35, sempre su treppiede (si, ho fatto trekking pesante), e polarizzatore landscape. Le foto sono in ordine cronologico per dare un’idea del cambiare dei colori in base al sole: sono partito prima dell’alba e ho chiuso l’anello poco dopo le 11; il tempo di percorrenza non è molto indicativo in quanto le soste fotografiche sono state numerose (ma solo 150 foto). Vorrei far notare che in tutto l’articolo non ho mai menzionato il termine foliage. Che bravissimo.
Sulla strada che porta a Uchisar la nebbia era clamorosa e non si vedeva a un palmo dal naso. Magari il panorama sarebbe anche stato interessante con il sole. Ma quel giorno no. E poi c’era questo simpatico oggetto, una specie di binocolo a pagamento per osservare il mondo; ne ho visti tantissimi, in tutti i posti panoramici del mondo, ma come quello davvero mai. E ho subito notato una somiglianza con Wall-E, il simpatico robot della Disney/Pixar. Sono stato costretto, ho dovuto fotografare. Chissà se il nostro simpatico amico è ancora al suo posto. Se qualcuno potesse controllare sarei contento di sapere che sta bene.
Quando abbiamo progettato in viaggio in Turchia il focus era semplice e lineare: andare in Cappadocia e volare in mongolfiera. Perché già da qualche anno mi intrigava l’idea e volevo fotografare gli splendidi scenari che avevo ammirato mille volte nelle foto sparpagliate in rete. Siamo andati in Inverno, a Gennaio, e faceva un freddo clamoroso. Andare in Inverno porta vantaggi e svantaggi, ma pesando le varie componenti io consiglierei di andare in Inverno e sono contento di aver scelto Gennaio. Perché se è vero che il numero delle mongolfiere è inferiore (in estate si possono vedere nel cielo sino a 100 mongolfiere, nella brutta stagione difficilmente si arriva a 50) e quindi lo spettacolo da quel punto di vista non è al massimo, d’altrocanto c’è la possibilità di alzarsi nettamente dopo (si parte prima dell’alba), i costi un pochino scendono (non troppo) e il panorama, con il gelo, diventa fiabesco. Noi siamo stati fortunati perché abbiamo trovato un cielo sereno e la nebbia a terra tipica del periodo che ha reso l’atmosfera davvero magica. E’ stato il mio primo volo e quel giorno ho sfatato un mito: la mongolfiera non è adrenalinica come pensavo, anzi, è rilassante. Si viene cullati dall’aria e ci si dondola in tutta serenità nel cielo. In Cappadocia poi il cesto è davvero enorme rispetto alla versione europea (le più piccole possono portare sino a 24 persone) e di conseguenza anche molto stabile, questo accentua nettamente l’idea di pace e tranquillità. Avevo già pubblicato due immagini in passato e oggi concludo con il resto del reportage. E’ una cosa che andava fatta; scusate il ritardo.
Le mongolfiere, con il loro vagare nel cielo, portano più a un destino che a una destinazione.
– Fabrizio Caramagna
Sono arrivato in macchina, prima dell’alba, alla ricerca di un pilone, perché qui viene ancora chiamato così. Ma in realtà il pilone dell’Olocco è stato sostituito alla fine dell’ottocento da una meravigliosa cappella. Ci si arriva per una strada decisamente impervia, asfaltata da poco, e quando si giunge alla meta il panorama merita davvero la strada. Non è distante da casa mia, circa 15 minuti, eppure prima ci ero stato, quasi per caso, solo una volta, a scattare foto di ritratto. Quando sono arrivato era ancora buio (e freddo), iniziava ad albeggiare ed intuivo che qualcosa di interessante sarebbe potuto nascere. Ho scelto due/tre posizioni che ho ritenuto adatte, ho settato la EOS R e ho iniziato a scattare alle prime luci. Poi sono partito per il giro delle borgate; ma questa è un’altra storia e la racconterò la prossima volta.
La cappella che ha sostituito il Pilone è stata costruita col concorso di tutti i lurisiani e di molti della Valle Pesio negli anni 1884-1885. Fuori della Chiesetta la natura regala una bella vista: un’anfiteatro tutto verde di prati e boschi, che oggi avanzano sempre più, alle spalle l’elegante profilo della Bisalta e davanti il fondovalle di Lurisia, Roccaforte, Villanova, Mondovì e, oltre, le Langhe. Fermarsi a fare una merenda è una tradizione. Un tempo per la festa, a metà agosto, arrivavano fin quassù i carretti con vino e gazzose, con pane, formaggio e salame; passavano dalla strada che sale dal Mortè, tenendosi su una cresta tra i boschi. Oggi c’è la strada asfaltata e si può arrivare con tutto il necessario, compreso fornelli, frigo e tende. Per scendere a valle si può scegliere la via sul versante opposto del torrente: si parte in piano, in mezzo al bosco, si beve ad una fresca sorgente pulita, si continua, fuori dal bosco, in un prato ripido; s’incontrano delle malghe da sempre usate in estate per l’alpeggio da gente della valle Pesio.
Avevo promesso una foto delle Torri del Vajolet e amo mantenere le promesse. L’ascesa che porta dal rifugio Vajolet al rifugio Re Alberto Primo è decisamente difficile e in alcuni punti impegnativi è dotata di una corda metallica per aiutarsi nella salita. Ho percorso questo tratto in un tempo praticamente record (quasi di corsa) grazie all’aiuto di un esperto conoscitore della zona che mi preceduto (aveva fretta) e con il quale ho scambiato qualche parola durante il tragitto: è stato davvero divertente utilizzare una via secondaria e superare le centinaia di persone (purtroppo alcune davvero inesperte) che avanzavano troppo lentamente. Arrivato sul piano che permette di ammirare le Torri sono rimasto un po’ deluso: purtroppo l’orario era forse il peggiore e il cielo troppo terso. Ho provato comunque con il polarizzatore e un filtro ND per ottenere un mosso delle poche nuvole e per eliminare le persone che brulicavano in cresta. Non è una foto che rimarrà nella mia personale storia fotografica, ma era comunque un obbiettivo. E mi piace lasciare qui la prova di un traguardo raggiunto.
E’ come un treno che si ferma a caso
e qualcuno sai che scenderà
è come scivolando piano piano dove non si sa
è come stare sotto il cielo nudi
– Gianna Nannini
Breve storia triste. Sabato mattina, poco dopo l’alba, sono passato da Barolo. Panorama perfetto, nebbia pittorica, almeno 15 fotografi con il treppiede. Un sogno, panorama incredibile. Ho scattato una foto (questa) e poi sono dovuto andare via per motivi non dipendenti dalla mia volontà. Fastidio.
L’estate scorsa ho deciso per una piccola e veloce escursione al rifugio Migliorero. Non sono un esperto cartografo, anzi, ma posso affermare con certezza che si trova nella zona di Vinadio (cioè, si parte da lì), nel vallone dell’Ischiator. E’ un’escursione semplice e molto bella, per arrivare al rifugio ci vogliono meno di due ore, andando piano. Ma è quando si arriva al rifugio che diventa davvero uno spettacolo: si trova abbarbicato in cima ad uno sperone e piuttosto che un rifugio di montagna sembra un castello (infatti nasce negli anni 30 del secolo scorso come albergo in quota). Purtroppo l’ora del mezzogiorno non mi ha permesso di scattare nulla di memorabile, però voglio ugualmente lasciare traccia di quella visione con 4 foto del Rifugio Migliorero da quasi tutte le angolazioni. La prossima volta punto ad arrivare all’alba. Seeeee…
Per il sottoscritto è stata un’estate un po’ particolare. Ho lasciato da parte la vita mondana e la fotografia (e il photoblog di conseguenza) e mi sono dedicato allo sport. Il lockdown deve avermi lasciato qualche strascico nel cervello e ho iniziato a correre, correre, correre. Ho la fortuna di avere dietro casa una serie incredibile di spazi verdi, di campagna: e respirare l’aria di queste zone è linfa vitale. E’ c’è uno scorcio del quale mi sono innamorato e tutte le volte mi ripromettevo di venire a bloccare l’attimo. E alla fine (dell’estate) ci sono riuscito. E quello che considero My Place: è dietro casa e mi sembra di correre in paradiso.
Il post-Covid (anche se purtroppo non è ancora finita) mi ha lasciato qualche segno sulla pelle e nell’anima. Non è il virus il colpevole, ma il sottoscritto ha perso un po’ di smalto per quanto concerne la fotografia e, soprattutto, la post-produzione. Sono svogliato. E’ quasi un mese che non pubblico su queste pagine e forse è il caso di concentrarsi maggiormente e cambiare pagina. Fra le novità dell’ultimo periodo c’è l’arrivo in casa Silva (come se non fossero abbastanza i gingilli tecnologici) del drone più in voga del momento: il DJI Mavic Mini, 249 grammi (non uno di più) di tecnologia. Le potenzialità sono quelle che sono e la qualità fotografica non è eccelsa, tutto in proporzione al peso, ma comunque quanto basta per divertirsi e scattare qualcosa di alternativo. E questa è la prima foto di quella che potrebbe essere una lunga serie. E’ la Torre Saracena sul Pizzo di Ormea fotografata da Barchi; non conosco l’altitudine, ma dovremmo essere intorno ai 40 metri (da terra). Si riparte in volo (credo).
Tutto ciò che si è fatto in Occidente durante tanti secoli si è fatto all’ombra gigantesca della croce.
– Paul Louis Couchoud